19 Settembre 2024
industrie Inquinamento

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Polonia capofila del no a regole per ridurre del 55% i gas nocivi nel 2030: “Ci costa 4 mld”. Non c’è accordo, si rimanda all’estate

 

Se i dossier Russia e Bielorussia hanno ‘rubato’ la nottata ai leader europei riuniti a Bruxelles – lunga e complicata discussione senza telefoni in sala per garantire la riservatezza – la discussione non procede in maniera più spedita sul clima. Anzi. In questa seconda giornata di vertice, i 27 cercano di scongiurare il rischio di arrendersi alla mancanza di un accordo su come ridurre i gas nocivi del 55 per cento entro il 2030, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Al summit, tiene banco il premier polacco Mateusz Morawiecki, capofila dell’opposizione dei paesi dell’est, i più indietro nella transizione ecologica, quelli che pagherebbero il costo più alto.
Dopo ore di estenuante discussione, dalla bozza di conclusioni viene cancellato ogni riferimento al regolamento sulla condivisione degli sforzi che copre le emissioni di trasporti, edilizia e agricoltura. In estate la Commissione presenterà la sua proposta e poi i leader ne discuteranno, partendo quasi da zero dopo il dibattito infruttuoso di oggi. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel prevede dunque “un dibattito in estate, alla luce delle proposte della Commissione europea”.
Davanti ai leader riuniti all’Europa Building, Morawiecki calcola un costo della transizione per il suo paese pari a “4 miliardi di euro”. Con lui, gli altri paesi dell’est. La fronda contraria è capitanata dai frugali, che fanno notare come i paesi dell’Europa orientale siano destinatari di fior fior di fondi europei con i quali possono benissimo occuparsi anche del passaggio dal carbonio alle fonti alternative. In mezzo, Angela Merkel che cerca di tenere a bada il blocco dell’est. Ma la stessa cancelliera ieri aveva ipotizzato di accontentarsi anche solo di una discussione al vertice di oggi, senza conclusioni finali, consapevole che sul clima si stava preparando uno scontro al calor bianco. Infatti al termine della summit, Merkel conclude: “La discussione sui cambiamenti climatici conoscerà il suo apice in autunno, sotto la presidenza di turno slovena”.
Si rimanda. Ma non resta molto tempo. Il 14 luglio la Commissione Europea presenterà il suo pacchetto di proposte legislative, chiamato ‘Fit for 55’, volto a rivedere le attuali direttive tarate sulla riduzione del 40 per cento dei gas nocivi entro il 2030, vale a dire il vecchio obiettivo che l’anno scorso è stato aumentato al 55 per cento. L’idea della Commissione è includere anche il settore dei trasporti e dell’edilizia nel cosiddetto sistema Ets, lo European Trading System, meccanismo di quote per cui le industrie che inquinano pagano, per dirla in termini molto semplici. La proposta non piace ai paesi dell’est, che paventano un costo più alto a carico dei contribuenti, in bolletta (edifici) o anche nei trasporti, perché questi paesi sono quelli con il parco auto più arretrato dal punto di vista della sostenibilità.
A dire il vero, la proposta della Commissione non piace nemmeno alle organizzazioni ambientaliste e ai Verdi tedeschi, in pole position per conquistare la cancelleria alle prossime elezioni il 26 settembre (stando ai sondaggi). Il costo sociale sarebbe troppo alto con un’imposizione europea dello schema, è la loro argomentazione, meglio lasciare l’iniziativa agli Stati, perché ogni Stato membro parte da una condizione diversa.
“C’è la consapevolezza di tutti che le parti più deboli vadano tutelate”, concorda anche Mario Draghi, rappresentando comunque una considerazione diffusa al vertice, che va oltre le rivendicazioni dell’est.
Questa seconda giornata di Consiglio Europeo termina intorno alle 16, senza le previste conclusioni stringenti sul clima. Tutto rimandato al Consiglio europeo di giugno, ma soprattutto a luglio, quando la Commissione presenterà il suo piano clima. Ursula von der Leyen si dice comunque soddisfatta dell’incontro di oggi: “Volevo ascoltare i leader, le loro considerazioni, le esigenze degli Stati”. Ora sarà Palazzo Berlaymont a cercare una mediazione, non semplice senza indicazioni dei 27 Stati europei.

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