Nei prossimi anni il nostro Paese dovrà ancora approvare decine di riforme collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza: almeno il 90% dei traguardi di spesa resta da affrontare
Almeno il 90% dei traguardi di spesa del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) resta da affrontare. E nei prossimi anni l’Italia dovrà ancora approvare decine di riforme collegate a quello. Ma un esame del ministero dell’Economia e le ultime relazioni sullo stato di attuazione mostrano che il passaggio dal governo di Mario Draghi a quello di Giorgia Meloni non sembra far emergere, per ora, troppi ritardi. La premier di certo oggi ritiene che il Pnrr non basti più. «È evidente a tutti che non è più sufficiente», ha detto ieri, perché «non poteva tenere in considerazione l’impatto che la guerra in Ucraina ha avuto sulle nostre economie. Bisogna fare di più oggi a livello europeo, partendo dal caro energia», ha detto Meloni. La premier ieri al Festival delle Regioni ha aggiunto che il governo «ha deciso di riattivare la cabina di regia per monitorare lo stato di attuazione degli obiettivi».
Una nota interna del ministero dell’Economia sullo stato di attuazione del Pnrr, aggiornata a lunedì, dovrebbe però placare in buona parte le preoccupazioni. In vista delle scadenze di fine anno le riforme già approvate sono 30, quelle da completare 25. Ma quasi tutte queste 25 misure da portare a termine si trovano a uno stato avanzato di esecuzione, secondo la nota interna del ministero dell’Economia. Nessuna è da costruire da zero. È il caso della riforma della spending review, dove non resta che la stesura finale della relazione e delle linee guida agli uffici. È il caso anche della cybersecurity, dove per una misura bisogna solo presentare una relazione di un ingegnere indipendente e in un’altra vanno forniti a Bruxelles i certificati di 5 interventi fatti. Anche in vista della «trasformazione digitale» delle amministrazioni locali, rimane giusto da stipulare un atto notarile che formalizza incarichi e costituisce una società ad hoc.
Niente di insormontabile, dunque. Il ministero più indietro sembra quello dell’Ambiente (ex Transizione energetica) al quale restano da centrare sei obiettivi del 2022 su nove. Per alcuni qualche equivoco dev’esserci stato, per esempio nell’impegno a far piantare entro l’anno 1,65 milioni di alberi nelle città italiane. Qui la burocrazia del ministero sembra aver preso una topica, perché avrebbe fatto piantare gli alberi nei vivai invece che nelle strade o nei parchi. Conclusione laconica del ministero dell’Economia: «Su questa modalità, sono ancora in corso interlocuzioni con la Commissione europea». C’è piuttosto un punto politico aperto: la legge di Concorrenza è scritta ma resta da far vivere; e l’Associazione nazionale dei Comuni e la Conferenza delle Regioni cercano in questa fase di attenuare la stretta su certe norme a favore delle società pubbliche locali. Servirà un indirizzo del governo.
Nel complesso però Draghi sembra aver lasciato un cantiere senza ritardi plateali, anche se la parte più difficile resta quella dei prossimi anni. Quanto ai fondi, il governo precedente si era impegnato a spenderne per 20,5 miliardi nel biennio 2021-2022 e alla rendicontazione europea di fine agosto ne aveva spesi solo per 11,75. Ma anche qui per il governo Meloni completare il programma nei tempi potrebbe dimostrarsi meno difficile di come appare a prima vista. La relazione sullo stato di attuazione del Piano del 5 ottobre scorso spiega infatti che molti fondi del Pnrr sono già stati versati su programmi nazionali, che esistevano già prima. Se ancora la spesa non risulta, è perché si attende la certificazione europea.
Si legge nella relazione del 5 ottobre: «Per molte misure in essere, infatti, la spesa è stata effettuata in base alle procedure amministrative inizialmente previste dalle rispettive norme nazionali, ma è ancora da completare la verifica degli ulteriori requisiti richiesti per accedere alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza». In sostanza, i fondi sarebbero già stati messi a terra e non li si vede nei numeri ufficiali solo perché non sarebbero ancora entrati nei consuntivi. Esempi? Le opere ferroviarie hanno già assorbito molto più dei 3,6 miliardi che appaiono ufficialmente nel Pnrr e così per i bonus edilizi (speso molto più dei 2,7 miliardi ufficiali) o per gli incentivi alle imprese di Transizione 4.0 (il tiraggio è molto più alto dei 2,9 miliardi che appaiono). Il Pnrr resta un progetto di enorme complessità per chiunque, gli intoppi ci sono e altri saranno inevitabili. Ma per ora gli allarmi non sembrano del tutto giustificati.