20 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Bresolin

Ma c’è un rischio per l’Italia, parte dei soldi potrebbe essere sottratta ai fondi di sviluppo delle regioni povere del Sud

Sono quattro le aree di intervento definite prioritarie dalla Commissione Ue per raggiungere gli obiettivi del Green Deal (-40% di emissioni nel 2030 e neutralità climatica nel 2050), la grande sfida che Bruxelles intende giocare grazie a un maxi-piano di investimenti decennale da mille miliardi di euro. Al primo posto c’è il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, un capitolo che da solo richiede 200 miliardi di euro l’anno. Poi ci sono la riconversione del settore energetico, la modernizzazione dei trasporti e la mitigazione delle crisi industriali legate alla decarbonizzazione. In totale – stima Bruxelles – fanno 260 miliardi l’anno.
Con queste cifre c’è il rischio di esaurire nel giro di quattro anni tutte le risorse del maxi-piano di investimenti. «Ovviamente serve un contributo ulteriore, anche se mille miliardi rappresentano già uno sforzo rilevante» dice Paolo Gentiloni, commissario all’Economia. Da dove potrebbero arrivare gli altri soldi, visto che i mille miliardi sono già frutto del mix tra fondi Ue, contributi statali e investimenti privati? «Stiamo creando le condizioni per aumentare gli investimenti degli Stati membri e dei privati – assicura l’ex premier -. E nelle condizioni attuali, con il costo del denaro talmente basso, abbiamo grandi possibilità di mobilitare molti miliardi».
Gentiloni si riferisce a due aspetti in particolare: i nuovi standard per i “green bond” e l’annunciato allentamento delle regole sugli aiuti di Stato. La revisione verrà fatta entro la fine del 2021, ma nel frattempo la Commissione promette flessibilità. Ancora vaghe, invece, le promesse sulla flessibilità per scontare gli investimenti “green” dal deficit. Gentiloni non si sbilancia («vediamo»), in attesa che parta il confronto tra i Paesi Ue.
C’è poi il capitolo dedicato al fondo per la transizione, che aiuterà i Paesi ad attutire i costi economico-sociali della riconversione energetica (il settore del carbone rischia di perdere 160 mila posti di lavoro da qui al 2030, di cui la metà in Polonia). Il fondo mobiliterà fino a 100 miliardi nei prossimi 7 anni (143 da qui al 2030), anche se i soldi freschi da inserire nel bilancio Ue saranno in realtà 7,5 miliardi. Bruxelles ha stabilito una serie di criteri per la ripartizione tra gli Stati membri, in base alla presenza di industrie inquinanti e agli indici di prosperità. Tutti i Paesi avranno accesso ai fondi e nessuno potrà ottenere più di due miliardi.
All’Italia, dice Gentiloni, andranno «centinaia di milioni». Si parla di 300-400, ma ovviamente molto dipenderà dai progetti che verranno presentati dai governi. «Bisogna muoversi velocemente – avverte il commissario all’Economia -. Occorrono i piani regionali nelle aree alle prese con i problemi della transizione e noi daremo l’aiuto necessario». Gentiloni ha confermato che l’Italia potrà usare quei fondi per l’Ilva, «ma certamente non basteranno per risolvere il problema».
Al Comitato europeo delle Regioni accolgono positivamente l’iniziativa, ma ci sono un paio di perplessità. La prima è legata al rischio che i fondi per la transizione vengano gestiti in modo centralizzato da Bruxelles e dalle capitali, senza il coinvolgimento dei territori. La seconda è il timore che il nuovo strumento tolga risorse alle politiche di coesione, quelle cioè destinate alle regioni più povere. In quel caso l’Italia finirebbe per perderci.

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