22 Novembre 2024
Ambiente

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Le superpotenze riconoscono il divario esistente rispetto agli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi e costituiranno un comitato congiunto che si riunirà a partire dalla metà del 2022 per «potenziare l’azione sul clima» nel decennio in corso

Le prove di disgelo tra Cina e Stati Uniti investono la Cop26. Xi Jinping e Joe Biden si incontreranno, da remoto, la settimana prossima. Gli effetti si sentono già al vertice Onu in Scozia, dove il primo e il secondo maggior inquinatore al mondo hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sul clima. Una svolta, dopo la frenata di Paesi come India e Arabia Saudita sulla bozza di dichiarazione finale. Un «aiuto verso l’accordo qui a Glasgow», ha commentato il commissario Ue all’Ambiente, Frans Timmermans.

Cooperazione Usa e Cina
Divise su tutto da tensioni crescenti, Washington e Pechino sembrano aver trovato un terreno d’intesa proprio alla Cop26, alla quale Xi Jinping non ha partecipato di persona, attirandosi le critiche di Joe Biden.
La dichiarazione congiunta è stata presentata il 10 novembre dal capo negoziatore cinese, Xie Zhenhua, e dall’inviato Usa, John Kerry, in conferenze stampa separate. Prevede un gruppo di lavoro bilaterale che si riunirà a partire dalla metà del 2022 per «potenziare l’azione sul clima» nel decennio in corso.
Obiettivo: mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 gradi e attorno a 1,5 gradi a fine secolo. Tra gli effetti della distensione c’è una spinta forte alla creazione di un mercato mondiale delle emissioni di CO2. Usa e Cina sono divise su molte questioni, ma sulla lotta al cambiamento climatico «non hanno scelta» se non collaborare, ha detto Kerry. Il lungo e intenso lavoro diplomatico dell’inviato della Casa Bianca sta dando frutti insperati.
In base al documento, la Cina, che si è già impegnata a raggiungere un picco di emissioni di CO2 prima del 2030, inizierà a ridurre gradualmente il consumo di carbone a partire dal 2026 e taglierà le emissioni di metano, secondo solo all’anidride carbonico per effetto serra.

La bozza
La mattinata si era aperta con la pubblicazione della bozza di documento finale della Cop26 e le resistenze scattate immediatamente. I ministri e i negoziatori di quasi 200 Paesi continueranno a confrontarsi fino a venerdì 12 (almeno) sulla proposta diffusa dalla presidenza del vertice. Il premier Boris Johnson ci mette tutto il suo peso. È tornato a Glasgow per suonare la carica: «Non ci sono scuse per non agire».
Il documento preliminare esorta i Paesi a rafforzare i piani nazionali per il clima entro la fine del 2022, per allineare all’Accordo di Parigi gli obiettivi con orizzonte 2030. È una delle richieste avanzate dalle nazioni più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico.
La bozza chiama gli Stati ad accelerare «l’addio al carbone e ai sussidi ai combustibili fossili»: il passaggio sarebbe un inedito per una decisione presa da una Cop e un segnale chiaro, anche se non viene indicata una data limite. Le resistenze sono già molto decise.
Il documento indica poi al 2030 la data entro la quale tagliare le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010 (la Ue ha un obiettivo del 55% rispetto ai livelli del 1990). Lo “zero netto” dovrebbe essere raggiunto entro la metà del secolo, un linguaggio analogo a quello usato nel comunicato finale del G20 di Roma. Ma l’India ha già dichiarato che non lo farà prima del 2070. Russia, Cina, Arabia Saudita puntano al 2060.
La bozza prova a tenere vivi gli obiettivi di Parigi e li ribadisce: limitare ben sotto 2 gradi e attorno a 1,5 l’aumento delle temperature del pianeta. Una lunga serie di report scientifici, usciti anche in questi giorni, prevedono aumenti superiori ai 2 gradi.
Il documento esorta i Paesi sviluppati a «incrementare urgentemente» il sostegno finanziario a quelli in via di sviluppo per rispondere alle loro esigenze di adattamento al climate change. Prima tappa: rispettare la promessa di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno. Lo si doveva fare il 2020, ci si riuscirà forse tra il 2022 e il 2023.
Il fuoco di sbarramento è iniziato subito. New Delhi si oppone alla richiesta di accelerare l’addio al carbone e ai sussidi sui combustibili fossili. Lo ha dichiarato il segretario all’Ambiente, Rameshwar Prasad Gupta. L’India pretende poi che siano i Paesi avanzati a finanziare la sua transizione energetica: New Delhi chiede mille miliardi di dollari entro il 2030 solo per sé, per consentirle di investire in energia pulita e rispondere all’impatto del climate change. Il Governo indiano non presenterà un piano climatico aggiornato, fino a quando non vedrà un impegno concreto su quei fondi. Quello attuale risale al 2015.Il Subcontinente è terzo al mondo per emissioni di CO2, ma lamenta che, storicamente, sono i Paesi sviluppati ad avere la maggiore responsabilità per il global warming.
Anche il Brasile chiede di più ai Paesi avanzati sul fronte degli aiuti, come fanno a gran voce le economie a basso reddito: i 100 miliardi di dollari promessi nel 2009 «non sono più sufficienti per consentire al mondo di costruire una nuova economia verde, con una transizione sostenibile», ha detto il ministro per l’Ambiente brasiliano, Joaquim Leite.
Insieme all’India, sui combustibili fossili, frenano prevedibilmente anche l’Opec e l’Arabia Saudita. «La narrativa secondo la quale la transizione energetica significa l’uscita dal petrolio e da altri combustibili fossili per andare verso le rinnovabili è fuorviante», ha detto il segretario generale dell’Opec, il nigeriano Mohammed Barkindo. Mentre il ministro dell’Energia di Riad, il principe Abdulaziz bin Salman Al-Saud, ha invitato ad abbandonare i «pregiudizi verso o contro particolari forme di energia». A Galsgow, l’Arabia Saudita è accusata di ostacolare i negoziati, anche con tattiche ostruzionistiche, che Abdulaziz ha negato.

La risposta europea
Per Berlino, il documento finale della Cop26 dovrebbe chiarire che i principali responsabili delle emissioni devono intensificare i loro sforzi, «in particolare quelli che non hanno fatto abbastanza rispetto ai target 2030», come ha affermato Jochen Flasbarth, segretario di Stato al ministero dell’Ambiente. Sulla stessa linea, il commissario Ue all’Ambiente, Frans Timmermans. Un riferimento diretto, oltre che all’India, a Cina, Russia e Arabia Saudita, i cui impegni sono visti come molto al di sotto del necessario.

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