22 Novembre 2024
Tajani (1)

Tajani: vicini a Israele che si difende da atti orribili. È necessario che non debba temere per il suo futuro

Antonio Tajani ha appena terminato una riunione a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni. In gran parte incentrata sul conflitto in Israele. Sono state analizzate informazioni che i nostri servizi hanno valutato. Ne emerge una quasi certezza, almeno per il nostro ministro degli Esteri: «Dalle evidenze condivise dalla nostra intelligence con quelle di altri Paesi, non emerge una responsabilità di Israele nel bombardamento dell’ospedale di Gaza. Da quello che sta emergendo, la responsabilità di Israele sembra esclusa».
Ministro, quanto è lontana l’ipotesi di un cessate-il-fuoco? Lei crede che entrambe le parti debbano fare dei passi indietro per una tregua o che sia prematuro?
«Nessuno è in grado di fare previsioni, è troppo presto. È inutile far finta di nulla: tutti sappiamo benissimo che Israele ha preparato migliaia di soldati per entrare a Gaza, per colpire i terroristi di Hamas. Il mio auspicio è che si costruiscano velocemente le condizioni perché si ritorni a negoziare politicamente. Noi stiamo lavorando a questo. Nel frattempo sia Israele che l’Egitto devono permettere di offrire rifornimenti e sollievo alla popolazione di Gaza e permettere l’evacuazione degli stranieri dalla Striscia, tutelando le vite di tutti gli ostaggi».

È possibile che, per paradosso, questa ennesima tragedia sia l’occasione giusta per una soluzione del conflitto fra i due popoli?
«Vorrei condividere questa speranza, che da una crisi profondissima possa venire la spinta per un miglioramento. Ma non possiamo permetterci di essere ingenui: siamo ancora nel pieno della crisi militare. È chiaro che la direzione non può che essere una: andare verso una soluzione che rispetti la sicurezza e le aspirazioni di due popoli. Molti dicono che una soluzione per uno Stato palestinese è ormai praticamente impossibile: non voglio crederci, la volontà politica può offrire ancora soluzioni. Per Israele il modo migliore per neutralizzare il progetto di Hamas è dare una speranza concreta al popolo palestinese».

Quando si parla di Israele e di Palestina si ha sempre a che fare con dei tabù, da una parte e dall’altra. Sono stati fatti errori da entrambe le parti?
«Non vorrei fare l’errore di sostituirmi agli storici, o di essere giudice di comportamenti. Noi siamo totalmente, profondamente vicini a Israele quando si difende da atti orribili di terrorismo. E saremo ugualmente vicini a Israele quando, per la sua sopravvivenza, le ricorderemo che il popolo palestinese ha diritto a non essere lasciato ostaggio di Hamas, deve avere un futuro che non sia solo nelle mani dei terroristi».

I Paesi arabi devono impegnarsi di più per una soluzione diplomatica?
«L’Italia in questo momento sta svolgendo un ruolo da protagonista, che può essere importante ed efficace, stiamo parlando con tutti. Sono stato in Israele, ma anche ad Amman. Tutti questi Paesi arabi ci rispondono in un solo modo: va scongiurata una nuova guerra. Tutti dobbiamo capire che la questione palestinese rimane centrale nel Mediterraneo. Ma loro, tutti insieme, devono costruire le condizioni perché Israele non debba temere per il suo futuro o la sua stabilità».

I palestinesi non hanno una classe dirigente all’altezza del compito. Israele forse non è in una situazione diversa, visti i giudizi su Netanyahu espressi da una parte dell’establishment del Paese. Cosa ci dice questo dato?
«Chi farà la pace o la guerra sono israeliani e palestinesi. Non siamo noi a poter giudicare la qualità delle leadership. Ma dobbiamo essere più energici quando vediamo derive politiche pericolose per loro, perché il loro fallimento è automaticamente una minaccia per noi. La loro guerra, per l’ampiezza dei protagonisti potenzialmente coinvolti, sarebbe una minaccia diretta a tutti noi. Continuare in uno stato di guerra ad intermittenza prima o poi si rivelerà un disastro per noi».

Si può immaginare per Gaza e Cisgiordania quello che è stato fatto in Kosovo, con un protettorato internazionale e un contingente di pace?
«È una domanda interessante, è il vero interrogativo: stiamo tutti lavorando drammaticamente per frenare le possibilità di una nuova impennata della guerra. Ma dopo? Chi governerà Gaza? Gli israeliani? Non credo. E allora chi? Le Nazioni Unite? Una coalizione di volenterosi? Ma ancora prima, chi entrerà a Gaza per occuparsi della vita di 2 milioni di persone? Anche senza nuove azioni militari Gaza è già un incubo, dobbiamo unirci e prepararci a rispondere a questa emergenza, meglio che in passato».

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