22 Dicembre 2024

Ridurle è un obiettivo nobile. Ma farlo senza toccare le spese è un errore. Il 93,7% dell’Irpef viene pagato da 20 milioni di contribuenti. Il 15% di quanti dichiarano redditi superiori ai 35mila euro ne porta sulle spalle il 63%

Si dice sempre che a non pagare le tasse in Italia sarebbe una precisa categoria di criminali: gli evasori. Bipedi facilmente riconoscibili perché si nutrono di ostriche e tagliolini al tartufo, secondo uno spot. In realtà l’evasione fiscale, anche grazie a strumenti come la fatturazione elettronica, si è molto ridotta negli ultimi anni.
Abbiamo però un problema più grande, se non altro per dimensioni. Come ci ricordano le analisi di Alberto Brambilla e di «Itinerari previdenziali», quasi metà della popolazione italiana non paga imposte sul reddito. Su 59 milioni di abitanti, solo 32 milioni presentano una dichiarazione dei redditi positiva, cioè pagano almeno un euro di Irpef. Attenzione: non è che costoro frodino il fisco. Il 93,7% dell’Irpef viene pagato da 20 milioni di contribuenti. Il 15% dei contribuenti che dichiarano redditi superiori ai 35 mila euro ne porta sulle spalle il 63%.
Le misure fiscali degli anni scorsi sono state concentrate sui ceti bassi. Il taglio del cuneo fiscale riguarda loro. I ritocchi alle aliquote Irpef non incidono sui redditi fra oltre i 50 mila euro e non si va al di là di quella soglia. Oltre la quale stanno, per inciso, poco meno di 2 milioni di contribuenti. Da una parte, si cerca di intervenire a vantaggio di chi, avendo di meno, in proporzione ha più da guadagnare da un alleggerimento fiscale. Dall’altra, proprio perché il grosso delle tasse sono pagate da pochi, abbassarle a questi ultimi è molto costoso per l’erario.
Lo Stato è l’unica organizzazione che ha il privilegio di erogare servizi che i cittadini non possono rifiutarsi di comprare. Ciò viene giustificato con il rilievo che tali servizi hanno nella nostra vita: la difesa nazionale, la scuola, la sanità. Ovviamente la spesa pubblica va un po’ oltre queste poche cose di cui non si può far senza. È probabile che il mondo andrebbe avanti lo stesso se il contribuente non si facesse carico del finanziamento del cinema, delle agevolazioni per l’installazione di colonnine per la ricarica domestica di veicoli elettrici, se le amministrazioni locali non godessero di contributi per comperare prodotti equo-solidali, se non ci fossero bonus per elettrodomestici, giardini pensili e quant’altro. Ma persino ammettendo che tutto quel che fa lo Stato sia imprescindibile, e non ci sono forse ipotesi più eroicamente irrealistiche di questa, che il conto sia presentato a chi non può rifiutarsi di pagarlo è un problema. Sappiamo bene che l’incentivo a fornire un prodotto di qualità viene, a qualsiasi venditore, dal fatto che il suo acquirente può scegliere se acquistarlo o meno..
La pubblica amministrazione non ha queste preoccupazioni. Le persone che pagano le imposte ne sostengono le spese, che piacciano loro o meno. Se percepiscono l’imposta come il prezzo di ciò che lo Stato fornisce loro, si chiederanno se si tratta di un buono o di un cattivo affare. Possono cercare di avere un’influenza sull’offerta di servizi, attraverso il loro voto. È una delle premesse della democrazia: si vota su come utilizzare risorse alle quali tutti contribuiamo.
Che succede se un partito maggioritario è esentato dal pagamento delle tasse? A caval donato, com’è noto, non si guarda in bocca. Se non pago per la spesa pubblica, non m’interesserò né poco né punto della sua qualità. Tenderò a dare il mio consenso a chi me ne promette di più, dal momento che so che altri ne sopporteranno l’onere. È difficile, in queste condizioni, parlare anche di «patti sociali» o «doveri civici».
Il governo Meloni sin qui è stato fiscalmente prudente, e dobbiamo esserne grati al ministro Giorgetti. Non ha però segnato una discontinuità. Ridurre le tasse è un obiettivo nobile. Farlo senza toccare le spese è un gioco delle tre carte: le imposte vengono caricate sulle spalle dei nostri figli (debito) o su quelle dei pochi contribuenti che effettivamente le pagano. Soprattutto, e a questo i politici dovrebbero essere sensibili, crea un esercito di elettori che non ha nessun incentivo a valutare la qualità dei servizi erogati. L’idea che il centrosinistra possa trovare un nuovo protagonista in Ernesto Ruffini, l’ormai ex direttore della Agenzia delle Entrate, ha suscitato qualche sorriso. Per la destra, è la prova che la sinistra ha perso contatto con gli elettori: come pensare di costruire consenso attorno a quello che è facile liquidare come il capo degli esattori? Ma forse la sinistra stavolta non ha torto. Il grosso della popolazione riceve benefici ai quali non contribuisce, almeno con l’imposta sul reddito. Per costoro è importante che il prelievo sia quanto più efficiente. I «pasti gratis» sono semplicemente quelli pagati dagli altri.

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