20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Antonio Polito

Rifiutano la modernità e sognano l’Eden. La contraddizione dei 5 Stelle emerge per esempio nel caso dei rifiuti campani con il no Di Maio ai termovalorizzatori


Una paura irrazionale del futuro e una fede incrollabile nell’avvenire possono convivere. Il comunismo ne fu una grande (e fallimentare) prova. Allo stesso modo il crogiolo di culture che si è fuso nel Movimento Cinquestelle sembra rifiutare la modernità in cui vive proprio mentre sogna un Eden post moderno da venire. È singolare il rapporto che i pentastellati intrattengono con la tecnologia. Ciò che è rimasto del messaggio, insieme visionario e apocalittico, di Gianroberto Casaleggio, li spinge a credere che il progresso della tecnica possa risolvere gran parte dei problemi umani, e questo è un atteggiamento positivo. Ma della tecnica che già esiste oggi e che fa funzionare, anche meglio della nostra, tutte le altre società complesse e moderne, diffidano con tutte le loro forze, al punto da tentare di impedirne l’utilizzo.
Il caso dei termovalorizzatori è emblematico. Ci sono in tutta Europa, in grandi metropoli come Parigi, Vienna e Copenaghen; ci sono nelle regioni, come la Lombardia o l’Emilia, che hanno risolto da tempo il problema dei rifiuti. Ma Di Maio dice che non li vuole in Campania perché sono «vintage», e un giorno non saranno più necessari, quando la raccolta differenziata e l’«economia circolare» trionferanno. In effetti nessuno può essere contro il riciclo: è la strada da seguire.
Ma anche ammesso che un giorno nei vicoli di Napoli (dove si differenzia oggi solo il 38% dei rifiuti), si possa trattare in casa l’immondizia come non si fa ancora neanche in Svezia, un po’ ne resterebbe sempre da interrare o da bruciare. E intanto, nel frattempo che non entriamo nel futuro, la «monnezza» che non si può né interrare né bruciare finisce all’aperto, per strada, sotto i ponti, accatastata su grandi piattaforme, in siti cosiddetti di stoccaggio, dove il primo che passa può darle fuoco. Così, in attesa dell’Eden, la gente della Terra dei Fuochi vive all’Inferno. E i rifiuti viaggiano vorticosamente in giro per l’Italia in cerca di smaltimento. Dalla sola Roma partono 170 camion al giorno per il Veneto: inquinano di meno?
Ieri a Caserta il governo ha promesso di usare anche i droni, oltre ai militari, contro i roghi. Bene (anche perché l’impiego dei soldati è già stato annunciato una volta all’anno da ognuno degli ultimi governi). Ma se, nel frattempo che non arrivano i droni, si rimuovesse la materia prima dell’incendio, e cioè l’immondizia parcheggiata in attesa? Già quattordici anni fa si facevano manifestazioni per impedire la costruzione del termovalorizzatore di Acerra con lo stesso argomento: che era obsoleto e che in breve tempo non sarebbe stato più necessario. Pensate dove sarebbe oggi la Campania senza quell’unico impianto, che oggi smaltisce settecentomila tonnellate di immondizia, più della metà di quella prodotta ogni anno nella regione. E la cosa più singolare è che i Cinquestelle si oppongono spesso anche alle soluzioni alternative da essi stessi proposte. Per esempio a Pomigliano d’Arco, patria di Di Maio, dove dovrebbe andare uno di quegli impianti per il trattamento dell’organico (compostaggio) appena sollecitati dal Presidente Fico.
L’immondizia non è però il solo campo di applicazione di questo singolare strabismo. Sono molti i casi in cui l’attesa di un avvenire migliore si trasforma nel rifiuto di gestire il presente. Uno degli argomenti usati contro l’Alta Velocità Torino-Lione è che a breve non ci sarà più bisogno di spostare tutte queste merci, perché — è stato detto — saranno trasportate dalle stampanti a tre D. È possibile: chi può dire che cosa ci riserverà il futuro? Ma se si ha tutta questa fiducia in una tecnologia che non è ancora tra noi, come se ne può avere così poca in un’altra che usiamo da secoli, e cioè la perforazione della montagna per fare un tunnel (il Buco del Viso risale al 1480)?
Allo stesso modo si ostenta sfiducia verso le banche che muovono i nostri soldi ma si scommette sulla tecnologia blockchain, forse nella convinzione che rischieremo di meno convertendo i nostri risparmi in una moneta virtuale. Oppure si diffida della democrazia rappresentativa, al punto di immaginare un tempo in cui non ci sarà più bisogno del Parlamento eletto a suffragio universale; ma si affida quella «diretta» a una piattaforma dove possono votare non più di centomila persone e che si è rivelata non esente da rischi di hackeraggio.
Cambiare il mondo è l’aspirazione di tutte le rivoluzioni. Ma nel frattempo? In questa domanda si misura il divario tra un movimento utopico e una forza di governo. I Cinquestelle sono ancora lontani dal colmarlo.

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