30 Gennaio 2025

La scienza e la tecnologia, frutto del lavoro di milioni di ricercatori nei laboratori, istituti e università di tutto il mondo, stanno vivendo uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni in moltissimi paesi

Leggendo molti editoriali di questi giorni, l’arrivo dell’amministrazione Trump viene descritto come una discontinuità radicale, un terremoto, un «big bang» che inaugura un nuovo mondo. Di fronte a un evento percepito come una traumatica discontinuità, ci si affanna a cercare spiegazioni, individuare gli attori protagonisti, e identificare i motori propulsori di questa trasformazione. Ed in questo clima, sembra che la cosa più facile sia puntare il dito alla scienza e la tecnologia. Con toni quasi complottistici, si parla di una «tecno-scienza» trasformata in una sorta di partito e dei suoi nuovi oligarchi, accusati di aver stipulato un patto di sangue con la nuova politica.
Si delinea così un presunto ordine nuovo, in cui la tecnologia ingegnerizza la politica e la politica usa nuovi poteri tecno-scientifici per controllare la società. È una narrazione affascinante, arricchita da personaggi emblematici che ci imbambolano con sogni di colonie spaziali e tecnologie salvifiche.
Purtroppo, ancora una volta, la mancanza di una comprensione profonda di cosa siano realmente la scienza e la tecnologia alimenta una narrativa incoerente che sembra ignorare le lezioni della storia. Prima di tutto, è fondamentale chiarire che l’equazione (big tech + Musk & Co.) = (scienza + tecnologia) è profondamente fuorviante. È vero che questi colossali multinazionali investono e molto spesso dettano l’agenda della ricerca di alcuni settori, come la grande industria ha sempre fatto, soprattutto negli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che rappresentano realmente è la ricchezza e il potere derivanti dal controllo di infrastrutture critiche, fondamentali per il funzionamento della società moderna. L’informatica, Internet, i social media e i satelliti sono diventati essenziali come la rete elettrica, i gasdotti o i binari ferroviari. Affermare che la «tecno-scienza» abbia stretto un patto con la politica è come sostenere che i padri scientifici della termodinamica abbiano cospirato per ridefinire gli assetti politici e sociali emersi con la rivoluzione industriale.
Ogni rivoluzione tecnologica ha rimodellato gli equilibri politici, le classi sociali e la politica stessa. I tycoon che hanno intuito come capitalizzare queste rivoluzioni hanno sempre giocato un ruolo decisivo: hanno partecipato, sponsorizzato e spesso determinato le politiche dei loro paesi. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole: chi controlla queste infrastrutture entra inevitabilmente nell’arena politica, giocando le proprie carte nel gioco del potere.
Al contrario, la scienza e la tecnologia, frutto del lavoro di milioni di ricercatori nei laboratori, istituti e università di tutto il mondo, stanno vivendo uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni in moltissimi paesi. La politica, sia a destra che a sinistra, nutre diffidenza nei loro confronti. La scienza non è controllabile: avanza verso il futuro a una velocità che la classe politica fatica a comprendere e gestire. Ancora peggio poi quando non è funzionale alle visioni e priorità ideologiche. Per questo motivo, viene spesso vista con sospetto, come in molti degli ordini esecutivi di questi giorni della nuova amministrazione americana o, peggio, utilizzata in modo manipolativo come abbiamo visto negli anni passati anche in Italia.
In nome di un pugno di voti, si arriva a negare i benefici di conquiste fondamentali come i farmaci e i vaccini. Si equiparano l’omeopatia e le cure olistiche a rigorosi studi di microbiologia che salvano vite ogni giorno. L’intelligenza artificiale è dibattuta quasi esclusivamente in toni millenaristici, permettendo a tutti di parlarne senza confrontarsi realmente con la complessità e le sfide che essa comporta. Problemi cruciali come il cambiamento climatico vengono strumentalizzati con argomentazioni da tifoseria calcistica, sia a destra che a sinistra. Nel frattempo, i fondi per la ricerca vengono tagliati ovunque e trasversalmente, perché manca la comprensione che è proprio sulla frontiera del sapere che la politica deve intervenire. Proprio in quell’orizzonte ancora invisibile dove si concentra il bisogno di investire per il futuro della società.
Ovviamente, anche gli scienziati hanno le loro responsabilità in questo rapporto incrinato tra scienza e società.
Ma la scienza non si identifica con singoli scienziati o tecnologi, per quanto geniali, ricchi o affascinanti possano essere: è un grande fenomeno collettivo, un bene comune che si rivela ogni volta che accendiamo la luce, usiamo il telefono o ci affidiamo a un farmaco. E la scienza, che qualcuno ci racconta come politicamente vincente, è in realtà ferita e in difficoltà. E queste difficoltà rappresentano una delle minacce più gravi all’orizzonte della nostra società. Abbandonare il pensiero scientifico e la sua razionalità significa spalancare le porte a un’autentica era della post-verità dove qualunque visione del mondo è accettabile e i fatti sono equivalenti alle opinioni. I chiodi che sigillano la bara del dibattito democratico.

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