La vera sfida delle organizzazioni non è sopravvivere, ma prosperare nel cambiamento
Eduardo Kohn, antropologo brasiliano della McGill University a Montreal, è celebre per un libro difficile e affascinante, «Come pensano le foreste» nato dalle sue ricerche in Amazzonia. Per Kohn, alberi e piante della foresta pluviale, ecosistema complesso che non ha solo studiato ma soprattutto vissuto, elaborano informazioni e interagiscono con il mondo esterno in modo simile a noi essere umani. Come nelle favole antiche o nei cartoni animati di Disney le piante pensano, e il loro pensiero, pur differente dal nostro, si articola in segni e relazioni con gli esseri viventi, persone incluse, «le foreste sono psichedeliche, immense menti al lavoro» annota Kohn.
La tesi è andare oltre l’umanesimo, considerare il «post-umano», non solo nella tecnologia dell’Intelligenza Artificiale, ma anche in natura, nell’ecologia del pianeta intero, con un «dispositivo di pensiero» che possiamo sperimentare in contesti differenti. Immaginiamo la nostra realtà quotidiana quella delle organizzazioni dei paesi sviluppati, a prima vista così lontana dalla giungla: bene, i grandi apparati di lavoro, come le foreste, prosperano solo nella diversità e nell’adattabilità alle nuove situazioni. Ogni modello organizzativo rappresenta il mondo che lo circonda e reagisce in conseguenza e, oltre le singole persone che lo compongono, uffici, funzioni, storia aziendale creano un pensiero condiviso che influenza chi ne fa parte. Mediazioni, discussioni, perfino contrasti sono all’ordine del giorno, perché ricorda la studiosa Anna Tsing nel saggio «Friction» la conoscenza non si arricchisce solo di armonia ma anche di attriti. Le frizioni sociali sono dunque per Tsing essenziali per le scoperte e non vanno evitati, bensì abbracciati e gestiti, come ciascuno di noi sa, in famiglia e tra i colleghi.
Eppure, la scelta automatica di organizzazioni, pur colossali, non sembra l’interconnessione e il cambiamento, stretti in modo conformista in strutture obsolete e gerarchiche, con le divisioni rigide ereditate da un’altra epoca, che inducono debolezza nociva. Le specie animali che vivono in branco reagiscono in modo olistico alle mutazioni, spesso improvvide, del loro ecosistema, e ai rischi interconnessi: un intervento umano può generare un cambiamento ambientale che impone lo spostamento del branco intero, con l’ingresso nel territorio di nuovi predatori. La sopravvivenza dipende dall’adattarsi a una realtà turbolenta.
Che fare, allora, per rendere le organizzazioni duttili e resilienti come le foreste e un branco di leoni, capaci di elaborare informazioni e strategie ogni giorno, senza soffermarsi al passato? La risposta è: sperimentare. Gli antichi navigatori salpavano verso terre ignote, guidati da mappe fallaci e dalla fiducia nel futuro. Come gli esploratori devono agire le organizzazioni del mondo tecnologico, non navi governate da un capitano severo, ma equipaggi affiatati, in cui ogni membro porta competenze e la collaborazione è il GPS per tutti. Come suggerisce l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale, è necessario adottare un «reasoning» iterativo, per apprendere gli algoritmi ignoti. Yuval Noah Harari osserva come l’AI rappresenti una rivoluzione che ribalta le fondamenta della società, creando realtà indipendenti e imprevedibili.
La trasformazione ubiqua, però, va gestita dal pensiero critico contro ogni deriva, ci mette in guardia Harari, sottolineando come le tecnologie digitali oltrepassino la nostra capacità di comprensione, imponendoci una riflessione etica sulla prossima fase. Non è una fuorviante dicotomia uomo-macchina, bensì la capacità di persone e organizzazioni di integrarsi, allenare il pensiero ai tempi ultrarapidi. Competenze che ci apparivano indispensabili sono superate e la formazione non può essere evento isolato, ma deve diventare flusso continuo, un dialogo perenne tra esperienze e apprendimenti. Processo che ho definito LifeargeLearning, a indicare un percorso orizzontale, con la formazione estesa nel tempo e allargata di esperienze, accrescendo donne ed uomini, non solo carriere.
La sostenibilità tecnologica è cruciale, con sistemi decentralizzati e chip ad alta efficienza energetica per garantire un ridotto impatto ambientale. La sostenibilità tecnologica, tuttavia, prospera con una rete di protezione adeguata, che supporti lo sviluppo e limiti le ingerenze negative, vedi il dibattito, e gli sconvolgimenti in Borsa, seguito al lancio della AI Made in China DeepSeek. Harari ammonisce, infatti, sull’illusione che più informazioni equivalgano sempre a maggiore saggezza, evidenziando come la verità si degradi nel rumore di fondo dei dati fuorvianti. Ecco che ritorna il pensiero critico, asset fondamentale per ogni evoluzione futura, a guidare il discernimento e la consapevolezza dell’umano.
La vera sfida delle organizzazioni non è infine sopravvivere, ma prosperare nel cambiamento. Per farlo, devono diventare ecosistemi vivi e vitali, capaci di apprendere, connettere le generazioni, evolvere. Non c’è un’unica ricetta, ma un punto di partenza comune: abbandonare la paura dell’esordio e dell’errore, abbracciando il rischio del cammino. Solo così le aziende potranno trasformarsi da macchine rigide in foreste rigogliose, dove la diversità, la tecnologia e la collaborazione diventano il terreno fertile per il futuro.Non a caso Kohn apre il suo libro con le parole antiche di Dante Alighieri, dal I Canto dell’Inferno «Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte…».