Fonte: Corriere della Sera
di Viviana Mazza
Il vicepresidente iraniano per gli Affari economici: «L’Iran è legato all’intesa sul nucleare. Ma se ci colpiscono, rispondiamo».
Mohammad Nahavandian, il vicepresidente della Repubblica Islamica per gli Affari economici, ci invita nel suo ufficio nel complesso presidenziale. È un tecnocrate: un economista che ha studiato in America, con un master conseguito alla George Washington University e un dottorato della Washington University. Accompagnava — come capo dello staff — il presidente Hassan Rouhani quando quest’ultimo, nel novembre 2015, disse al «Corriere» che l’accordo sul nucleare (allora appena firmato) «se applicato bene, getterà le basi per minori tensioni con gli Usa, creando le condizioni per aprire una nuova era. Ma se gli americani non rispettano la loro parte dell’intesa nucleare, allora sicuramente il nostro rapporto con loro resterà come in passato». L’altro ieri Trump ha annunciato nuove sanzioni e chiesto l’aiuto di Europa, Cina e Russia per demolire ciò che resta di quel patto, il Jcpoa, abbandonato dall’America nel maggio 2018.
Il ministro degli Esteri Zarif ha detto che l’Iran vuole una «de-escalation». Ma come ci si arriva davvero? Lei si occupa dell’economia di questo Paese: la distensione passa anche dall’accordo sul nucleare?
«Sono cose con portata e livelli diversi. Da un punto di vista militare, se gli americani fanno qualunque stupidaggine, noi risponderemo in modo appropriato. Per quanto riguarda la questione nucleare, è stato il governo americano a violare il Jcpoa. Qualunque cosa l’Iran abbia fatto è stato in risposta alle infrazioni degli Stati Uniti e all’incapacità degli europei di compensare le mancanze della parte americana. L’Iran si era impegnato nell’intesa e vi è ancora legato, finché gli altri lo rispettano. Il nostro Paese ha risposto in modo estremamente misurato. Se loro ritornano al tavolo e onorano gli impegni presi, anche noi prenderemo in considerazione di farlo».
I Guardiani della Rivoluzione hanno adottato toni più duri di quelli di Zarif e del governo. Siamo davvero in una fase di minore tensione? Qual è la linea dell’Iran?
«Per la posizione ufficiale bisogna ascoltare il nostro ministero degli Esteri, che è stato chiaro nell’analizzare e motivare l’azione militare: è la conclusione della nostra risposta all’attacco terroristico del governo americano contro un ufficiale della Repubblica Islamica che si trovava in un Paese terzo e sovrano, ed era stato invitato per una missione di natura diplomatica per la pace e stabilità regionale come ha spiegato il premier iracheno (Adel Abdel Mahdi ha detto al Parlamento di Bagdad che Soleimani portava la risposta di Teheran a un messaggio trasmesso dai sauditi attraverso gli iracheni ndr). Comunque, uno dei risultati è stato di provocare sentimenti anti-americani in tutta la regione. Ed è un grosso errore attribuire ogni possibile reazione all’Iran, definendola “guerra per procura”. Non è vero e umilia gli altri. Come abbiamo visto nelle manifestazioni in Iraq ma anche in Yemen, Siria, Pakistan, India, l’uccisione del generale Soleimani è diventata un caso cui legare la rabbia per la politica estera americana nel mondo. Il conflitto tra l’Iran e gli Stati Uniti non è nuovo, esiste da molto tempo, ma nessuna amministrazione precedente aveva fatto un simile sbaglio. E se sbagli, paghi».
Il Parlamento iracheno ha deciso che le forze Usa devono andarsene, ma in molti altri Paesi della regione l’America continuerà ad avere le proprie basi militari.
«Le azioni della Casa Bianca hanno aumentato i rischi per gli americani e i loro interessi in questa regione. Ogni azienda statunitense adesso ci penserà due volte prima di entrare in qualunque tipo di cooperazione in questa parte del mondo, con conseguenze sui mercati finanziari, i commerci e gli investimenti. E ogni governo locale ci penserà due volte prima di cooperare con gli americani militarmente, politicamente o economicamente, non perché glielo dica l’Iran ma per un calcolo dei propri interessi nazionali. Ciò avverrà in modo diverso da Paese a Paese, a seconda dei legami più o meno stretti con gli Stati Uniti, me è certo che un impatto ci sarà».