23 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post

boschi

di Angela Mauro

Ieri 4 Aprile ore 15.45: Matteo Renzi comincia il suo intervento alla direzione del Pd. Più o meno alla stessa ora, a poche centinaia di metri dal Nazareno, in un ufficio del ministero delle Riforme, Maria Elena Boschi si siede di fronte ai pm di Potenza arrivati a Roma per ascoltarla come persona informata dei fatti nell’ambito dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata. Non è un caso che il segretario del Pd decida di mandare proprio a loro, a quei magistrati della procura lucana che aprono inchieste e non arrivano “mai a sentenza”, il messaggio centrale di questa giornata infuocata. “Non è un attacco”, smorzerà dopo ma senza rimangiarsi nulla. “Noi non siamo quelli del legittimo sospetto”, per dire che non è un remake dell’epoca berlusconiana, “se mi vogliono sentire, eccomi qui”. Però le sue parole per i pm sono pietre: del resto stanno conducendo la prima inchiesta che colpisca al cuore l’operato del governo, operato che non a caso il premier rivendica tutto, dall’inizio alla fine, da Viggiano a Tempa Rossa fino a Taranto, per ripercorrere la traccia dell’oro nero lucano.
Un fardello pesante da gestire. Così pesante da mettere in forse la visita a Matera, preannunciata nell’ultima news dallo stesso Renzi per questa settimana. Scegliere di parlare in direzione per oltre un’ora in maniche di camicia e senza giacca non basta. Renzi si accalora e suda nello sforzo di rispondere punto per punto sulle accuse di questi giorni che hanno già costretto un ministro alle dimissioni, Federica Guidi. Non succederà con la Boschi o con il resto del governo. E allora via alla nuova crociata contro “la santa alleanza” delle opposizioni unite sul petrolio.
In Basilicata “le inchieste sul petrolio sono un po’ come le Olimpiadi, tipo ogni quattro anni… più di una non è mai arrivata a sentenza: un paese civile va a sentenza”, inizia. Nella replica chiarirà che il suo “non è un attacco” ai magistrati. “Noi non siamo come quelli di prima, quelli del legittimo impedimento. Noi chiediamo di fare velocemente i processi, siamo quelli che quando ci chiedono di interrogarci, diciamo: ‘anche domattina’, quelli che se ci chiedono le carte, rispondiamo: ‘anche per mail”. Ma i pm “dovrebbero arrivare a sentenza invece di accontentarsi delle anticipazioni sui giornali”, sottile riferimento all’intervista alla Stampa di Henry John Woodcock, ex pm a Potenza noto per le sue inchieste a carico di personalità famose spesso poi assolte, da anni trasferito a Napoli. Non è uno scontro alla Berlusconi. E’ uno scontro alla Renzi: 2.0, si potrebbe dire, rivisto e corretto. “Difendo una grande azienda italiana come l’Eni, ho il dovere di tutelarla, anche in Parlamento dove ho difeso Descalzi”, il numero uno di Eni indagato nell’inchiesta sulla presunta maxi tangente pagata per le estrazioni in Nigeria.
Le trivelle, alla vigilia del referendum del 17 aprile e sotto il peso dell’inchiesta di Potenza, infuocano la direzione Dem come non si vedeva dai tempi in cui Renzi, neoeletto segretario del Pd, attaccò pubblicamente Gianni Cuperlo da costringerlo alle dimissioni dalla presidenza. Ormai sono più di due anni fa. Il segretario parla con la camicia sudata: “Credo sia onesto dire che ciascuno la può pensare come crede ma la posizione dell’astensione è sacrosanta e legittima. Chi propone l’astensione pensa che quel referendum sia un errore!”. Michele Emiliano ha la fronte che gronda di goccioline: “Io voterò sì e dirò a tutti i militanti del partito di non attenersi alle indicazioni del partito”. E domani terrà una conferenza stampa con Maurizio Landini. Il governatore lucano Marcello Pittella si sgola a rischio di perdere le corde vocali: “Avrei fatto a meno di questo quesito referendario”. Vincenzo De Luca è l’unico che riesce a mantenere l’aplomb: “Questo referendum è inutile ma dico a Michele che se qualcuno mi proponesse le trivellazioni a Ischia o altrove nel mare campano, io farei la guerra anche al governo”.
E’ il giorno delle rivendicazioni di Renzi ed è anche il giorno del pane al pane e vino al vino tra il segretario e i governatori più coinvolti della saga referendaria delle trivelle. Il premier torna a rivendicare le opere intorno al nuovo giacimento di Tempa Rossa, sempre in Basilicata, rivendica i contatti con le multinazionali del petrolio finiti sotto la lente di ingrandimento dei pm proprio per quell’emendamento su Tempa Rossa che ha portato la Guidi alle dimissioni e la Boschi a colloquio coi magistrati. “Le multinazionali sono il nemico? O vogliamo dire che insieme alle piccole e medie aziende danno lavoro? Sì noi parliamo con le multinazionali… e non abbiamo preso soldi dalle lobby del petrolio… o vogliamo credere che chi produce ricchezza è cattivo?”. Si prenda Marchionne, tanto sempre di Basilicata si parla. “Dobbiamo mandare via l’Eni da Viggiano e la Fiat da Melfi? Ok ma di descrescita felice vive solo chi ha una rendita…”.
Non una parola sul disastro ambientale che è uno dei filoni d’inchiesta dei pm di Potenza. Tante slide invece sugli investimenti italiani in energie alternative, sulle opere sbloccate o da sbloccare, quelle che una volta erano “off” e ora sono “on”: proprio così c’è scritto. E poi c’è anche la slide del manifesto della Quercia sul referendum del 2003: invitava all’astensione con una sola parola: “Non.”.
E’ la riprova che si può fare: “La mia posizione sul referendum è quella di Prodi anzi un po’ meno dura visto che lui ha parlato di suicidio…”, continua a battere il ferro caldo Renzi. E “sono d’accordo con lui”, che andrà a votare no, “quando dice che bisognerebbe mettere le royalties derivanti dal petrolio a disposizione dell’energia alternativa”, aggiunge per provocare la minoranza interna. Che stavolta però, in questa direzione particolare, mentre Boschi è sotto il torchio dei magistrati per due ore, non fa sconti. “Non mostri la statura di un leader, Matteo, anche se a volte coltivi l’arroganza dei capi”, gli dice Cuperlo. Il tutto in un clima che il ministro Paolo Gentiloni descrive da “sindrome dell’usurpatore o dell’intruso, ci porta a dire cose al limite della possibilità di convivere in questa comunità”. Renzi alla fine sente di aver messo in chiaro tutto, per lo meno: “Abbiamo reso un servizio alla politica, non è usuale che si discuta così pubblicamente”. Ma in un inciso tra una frase e l’altra, senza toni di sconforto che non gli sono usuali, ammette: “Non sarà facile vincere le amministrative…”.

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