Fonte: Corriere della Sera
di Danilo Taino
Nel convegno dell’Aspen Institute è emerso che gli imprenditori italiani sono cauti ad accettare l’integrazione con i francesi mentre sono più aperti verso le imprese della Germania
Sì, ci sono problemi tra Italia e Francia. Quelli politici sono ben visibili: le tensioni alla frontiera per i passaggi di migranti; il conflitto sulla legge di bilancio tra il governo di Roma e Pierre Moscovici, che è un commissario europeo ma è vissuto come francese; la Libia; lo scontro tra Matteo Salvini ed Emmanuel Macron sul futuro dell’Europa, che durerà fino alle elezioni di primavera per il Parlamento europeo. C’è però anche una tensione che corre nel mondo dell’economia e che negli ultimi anni si è accesa attorno a Telecom, Mediaset, Mediobanca con coda Generali e, soprattutto, Fincantieri. Pochi giorni fa, a Roma si è tenuto un incontro tra politici, imprenditori e accademici italiani e francesi, organizzato dall’Aspen Institute Italia, al quale ha partecipato lo stesso Moscovici. Nel dibattito, i problemi sono risultati tanto più significativi in quanto riguardano il rapporto dell’Italia con il suo secondo partner commerciale (dopo la Germania). Il punto più delicato è quello degli investimenti diretti.
Lo stock di acquisizioni francesi in Italia è il più alto tra quelli dei Paesi esteri: 71,9 miliardi secondo dati dell’Istat, che si confrontano con i 53,6 effettuati da imprese britanniche, i 40,1 provenienti dalla Germania e i 12,2 dagli Stati Uniti. In direzione contraria, lo stock di investimenti diretti italiani in Francia è di 33,5 miliardi (44,7 in Germania, 33,4 negli Stati Uniti, 28 in Gran Bretagna). In Francia — dove le imprese italiane controllano, secondo il ministero dello Sviluppo, 1.500 aziende per un totale di 67 mila addetti — non si registrano particolari opposizioni alla proprietà italiana; da noi c’è disagio. Soprattutto — si è detto nel convegno dell’Aspen Institute — gli imprenditori italiani sono cauti ad accettare l’integrazione con i francesi mentre sono più aperti verso le imprese della Germania. È diffusa la convinzione che i tedeschi apprezzino le capacità e la serietà delle aziende italiane. I francesi, invece, spesso sono percepiti come conquistatori o hanno l’atteggiamento del fratello maggiore rispetto al più piccolo. Il Trattato del Quirinale, che dovrebbe sancire un’alleanza quasi di sangue tra Roma e Parigi così come la sancì il Trattato dell’Eliseo tra Francia e Germania nel 1963, ha parecchia strada da fare, se muoverà qualche passo: non solo per la politica.