3 Febbraio 2025

La storia di trent’anni di inquinamento e illegalità nella Terra dei fuochi, tra discariche illegali, roghi tossici e danni alla salute umana e all’agricoltura

Fu Legambiente, 22 anni fa, a coniare per prima il termine “Terra dei fuochi”, quando nel rapporto Ecomafia del 2003 ha raccolto tutte le denunce che arrivavano dai suoi circoli presenti sul territorio a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, in Campania. L’espressione è poi entrata nel vocabolario Treccani e nel 2013 è diventata il nome di un decreto approvato per contrastare i fenomeni illegali.
Quella della Terra dei fuochi, però, è una storia che comincia molto prima. Siamo agli inizi degli anni 90: «Per la prima volta Legambiente, nel suo report Rifiuti spa, denuncia l’intreccio tra camorra e traffico di rifiuti illegali nel giugno del 1994» racconta Enrico Fontana, responsabile dell’osservatorio Ambiente e legalità dell’associazione. Cosa succede, in quella fetta di terra fatta da 90 comuni e abitata da 3 milioni di persone? Due fenomeni distinti, entrambi gestiti dalla criminalità organizzata: uno è la creazione di discariche illegali di rifiuti spesso tossici, e l’altra sono i roghi a cielo aperto accesi di notte, per liberarsi degli scarti di alcune lavorazioni industriali inquinanti. A seguito delle denunce, nel 1995 viene costituita una commissione parlamentare di inchiesta, che nella sua relazione conclusiva del giugno 1996 scrive nero su bianco che in quei territori è stata accertata l’esistenza di discariche illegali.
L’emergenza è dunque riconosciuta ufficialmente dalle istituzioni. Eppure, comincia un lungo periodo di negazione, o quando va bene di sottovalutazione, del problema. Che la situazione è grave il governo lo sa, tanto che nel 1998 il ministero dell’Ambiente decreta quest’area della Campania come sito da bonificare di rilevanza nazionale, al pari dei territori attorno al polo petrolchimico di Marghera, o dell’ex sito industriale di Crotone. Eppure, tra Acerra e Giugliano, grandi industrie non ce ne sono. Tutto l’inquinamento viene dai rifiuti.
«Nel 2003 – racconta Fontana – riceviamo la segnalazione dai nostri circoli di Caserta dell’esistenza di roghi notturni spaventosi, con fiamme alte che raggiungono il calor bianco. In aperta campagna, di notte, venivano scaricate enormi balle di scarti delle lavorazioni soprattutto tessili, su cui venivano versati liquidi infiammabili. In quello stesso periodo, diversi Comuni avevano emanato ordinanze per vietavano i terreni agli animali da cortile, per la troppa concentrazione di diossina a terra».
Nel 2005 arriva la prima presa di coscienza ufficiale che i roghi e le discariche non sono solo un pericolo per l’ambiente, ma anche per la salute umana. L’Istituto superiore di sanità 2005 elabora un dossier in cui incrocia i dati dei tumori riscontrati in quella fetta di Campania con quelli del resto d’Italia, e rileva anomalie. Parte così il progetto Sentieri dell’Iss, che da allora monitora che cosa succede alla salute e segnala la mortalità in eccesso. «In media – dice Fontana – si parla di un aumento sulla mortalità attesa del 6% per gli uomini e del 5% per le donne». L’ultima edizione evidenzia 1.600 persone in eccesso morte per tumore in un anno, rispetto alla media nazionale.
Legambiente non è l’unica associazione a protestare. Ci sono i sindacati, la Chiesa, i comitati cittadini, quelli delle mamme. La protesta più clamorosa avviene il 17 novembre del 2013 a Napoli, quando in piazza scendono decine di migliaia di persone: è a quel punto che nasce il decreto Terra dei fuochi.
La prima sentenza definitiva della Corte di Cassazione contro i gestori di una discarica illegale è però solo del 2021: ventisette anni dopo la prima denuncia di Legambiente, ironia della sorte proprio a colpire uno dei soggetti contro cui allora l’associazione puntò il dito.
In trent’anni, i rifiuti illegali in Campania non hanno solo rovinato l’ambiente e la salute umana. Hanno anche provocato danni ingenti all’agricoltura. Nei campi furono trovati prodotti con percentuali di sostanze dannose sopra la norma e l’allarme portò molti consumatori a boicottare tutta l’ortofrutta e i formaggi campani. «Agricoltori e allevatori furono per lo più vittime – sostiene però Enrico Fontana – certo, qualcuno di loro sapeva e non denunciò per paura delle ritorsioni. Ma nessuno di loro era responsabile di quell’inquinamento pericoloso e illegale. Semplicemente, lo subirono». Per di più, le istituzioni si attivarono con grande ritardo a perimetrare le aree inquinate, e questo danneggiò ulteriormente gli agricoltori, innescando quel fenomeno di boicottaggio di tutti i prodotti, anche di quelli provenienti dalle aree sicure.

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