Fonte: La Stampa
di Flavia Amabile
Viaggio nelle zone devastate dal sisma del 24 agosto i un anno fa. Chi ha passato l’inverno in tenda o in un prefabbricato è stanco di aspettare l’arrivo delle “casette” promesse
La primavera è arrivata, le casette no. La natura mantiene sempre le sue promesse, anche quando porta morte e devastazione come è accaduto dal 24 agosto 2016 in poi nelle terre del Centro Italia, piegate da uno dei terremoti più disastrosi e subdoli della storia d’Italia. Gli uomini, invece, si sono fatti cogliere impreparati.
Le promesse
Nove mesi dopo la prima scossa, la ricostruzione è una parola quasi cancellata dal vocabolario di chi ha subito danni. E le casette che, secondo i rosei scenari del governo, avrebbero dovuto ripopolare gli Appennini intorno ad aprile come le margherite, sono un miraggio: ne sono state consegnate circa il 5% del totale. Nel frattempo il numero dei Comuni coinvolti è raddoppiato, quello delle persone da assistere è aumentato di almeno dieci volte e questo tratto di Appennini è ancora un cumulo di macerie e abbandono interrotto da isole umane, le centinaia di persone che non hanno mai abbandonato il loro paese, a dispetto degli inviti ufficiali più o meno perentori, della neve, del ghiaccio della presenza di figli piccoli o di malattie.
Cinzia Quagliarini, 44 anni, 21 metri quadrati di casa prefabbricata a San Giorgio, una frazione di Cascia, in Umbria. Vive lì da due mesi con la famiglia, compresa una figlia di cinque anni. Prima, quando la temperatura era sotto lo zero, vivevano in tenda. Un regalo: sia la tenda sia la casa prefabbricata. «Le casette? Hanno fatto un sopralluogo qualche giorno fa per le aree, non abbiamo visto altro», racconta.
Adele Narcisi, 46 anni, malata di sclerosi multipla, 23 metri quadrati di prefabbricato che divide con il marito a Scai, una frazione di Amatrice: «Ho fatto richiesta per una casetta ma sembra che non ne abbia diritto. La mia casa è dichiarata inagibile perché circondata dalle macerie, dunque un caso di rapida soluzione, secondo loro». Nel frattempo siamo a fine maggio: se la Caritas Diocesana di Rieti non le avesse regalato il prefabbricato, avrebbe dovuto abbandonare marito e lavoro e trasferirsi sulla costa.
Patrizia Vita, 48 anni, 17 metri quadrati di camper a Ussita, nelle Marche. Li divide con un’amica. Il camper è un prestito a tempo indeterminato di una famiglia, è parcheggiato con altri 5 nell’area camper del paese: «Siamo una decina di persone, teniamo in vita la nostra terra che altrimenti sarebbe totalmente abbandonata. Il nostro obiettivo? Il ritorno degli altri ussitani dalla costa. Quando saremo tutti qui potremo lavorare davvero per la ricostruzione».
Ma quando torneranno lì le popolazioni? Solo quando saranno consegnate le casette, le Sae, Soluzioni Abitative di Emergenza. Nel frattempo le popolazioni dei Monti Sibillini e delle montagne di Amatrice e dintorni hanno imparato a vivere con la valigia sempre pronta. Gran parte di chi è andato sulla costa ha dovuto accettare di lasciare il posto ai turisti estivi. La scadenza del contratto per gli ospiti del Natural Village di Porto Potenza Picena, secondo le istituzioni, è il 31 maggio; ma dei 180 ospiti soltanto in 12 hanno aderito in modo volontario al trasferimento, gli altri hanno deciso di rimanere. Monica Pierdomenico ha una casa inagibile a Ussita: «Ci hanno scaricato tutti, il proprietario dell’albergo, la prefettura. Ora sembra che chi rimane dovrà pagare. In realtà ancora oggi non sappiamo nulla di quello che accadrà, siamo balia degli eventi. Sono andata a vedere se potevo affittare qualcosa ma si è anche scatenata la caccia al terremotato esasperato, ci sono prezzi assurdi e case orrende. Ci hanno scaricato e ci stanno anche sfruttando».
Le colpe
C’è poco da fare: la macchina del dopo-terremoto è in forte ritardo. La colpa? Del governo che ha sbagliato tutto dall’inizio, sostengono i sindaci. Della burocrazia, sostiene Renzi, che da premier ha gestito la prima fase degli interventi: «Le norme sono state fatte, i soldi ci sono e il governo Gentiloni ha fatto ancora di più di quanto fatto da noi. Ma la burocrazia diventa spesso un problema. Voglio che in tutti i Comuni, ogni settimana si affacci un parlamentare Pd a chiedere che cosa serve».
Non c’è bisogno che qualcuno si affacci. Servono le Sae, le casette. Ovunque. A Norcia ne sono state consegnate 101 su 500. Ad Amatrice 25 su 595. Così sintetizza Sergio Pirozzi, il sindaco: «Per le abitazioni siamo in braccio a Cristo: il percorso è ancora lungo e servirebbero procedure da guerra in tempo di guerra» invece ci sono «più soggetti che si occupano delle abitazioni mentre dovrebbe essercene solo uno».
Quello che a Norcia e Amatrice è considerato ritardo, negli altri 18 Comuni distrutti dalle scosse dell’autunno è assenza totale. Nulla a Visso. Nulla a Ussita. Forse ne arriveranno 26 a giugno ad Arquata del Tronto. Il sindaco Aleandro Petrucci: «Se a settembre non ci saranno le abitazioni rischio di trovarmi in una situazione paradossale: avere una scuola donata dai privati ma nessuno che potrà tornare. In quel caso farò molto di più che dimettermi o andare a protestare con una tenda».
È il clima perfetto per far esplodere lotte intestine, risentimenti. Il Parco Nazionale dei Sibillini, ad esempio. La sede è a Visso, il paese dei manoscritti di Leopardi, uno dei centri più colpiti: 9 case su 10 inagibili. Ma il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, da tempo vorrebbe trasferirla sul suo territorio. Con il terremoto ha riproposto la questione chiedendo una soluzione provvisoria, per rendere meno complicati gli spostamenti dei dipendenti del Parco che abitano a Norcia.
Per ora ha ottenuto solo la risposta molto infastidita del sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini. Accusa Norcia di «bulimia». «Escludendo Amatrice, da soli hanno fagocitato più contributi di quelli ricevuti da tutti gli altri 138 comuni del cratere. E ora vogliono anche la sede del Parco», scrive in una lettera al ministro dell’Ambiente Galletti, al capo della Protezione Civile Curcio e ad altre autorità. «Spero che nessuno presti ascolto a questa richiesta altrimenti – conclude – le conseguenze saranno drastiche».