Fonte: La Repubblica
di Arianna di Cori
Dalle case e dagli alberghi messi a disposizione sulla costa marchigiana, ogni giorno tornano nelle aziende – alcune completamente devastate dal sisma – per mantenere in piedi un minimo di struttura produttiva. Ecco le loro storie
La sveglia per Ermanno Serfaustini suona alle 5 di mattina. Si prepara in silenzio – le pareti del bungalow del villaggio a Porto Recanati, dove è stato trasferito dal 29 ottobre, sono sottilissime – soffia un bacio alla moglie e alla figlia, prende la macchina e imbocca la statale 77 in direzione Visso. Il suo paese, almeno fino a poco tempo fa. Ora, le sua casa non esiste più.
Sabrina Di Simplicio invece la casa l’ha persa il 24 agosto. E’ di Amatrice. Tutti i giorni percorre 250 chilometri tra le montagne, facendo la gimcana tra i massi tuttora sulla carreggiata, per andare da Sant’Egidio alla Vibrata, provincia di Teramo, fino a Norcia.
Tanta strada, paesaggi dolorosamente familiari. Un esodo al contrario, dalle zone illese verso il cratere, che ogni giorno vede operai, imprenditori, liberi professionisti farsi forza nel nome dell’unico appiglio rimasto per ritrovare una parvenza di normalità: il lavoro. Sono i pendolari del terremoto.
Nelle Marche, 368 sedi produttive sono inagibili, centinaia nell’Umbria (mancano, ci fanno sapere da Confartigianato, dei dati precisi), 3.000 le aziende agricole chiuse secondo Coldiretti. Danni economici ancora non quantificabili. E tempi burocratici che non vanno d’accordo con quelli produttivi. “Si rischia di attendere mesi per i sopralluoghi da parte degli uffici tecnici della Protezione Civile”, dice Marco Barberini, direttore di Confartigianato Perugia. “Questa è un’area ricca di attività strettamente legate al territorio, ci sono imprenditori che hanno appalti con fornitori che, sebbene possano dispiacersi per chi è stato colpito dal sisma, non possono aspettare. E se si ferma l’economia, tutto morirà”.
E così, tra le strutture agibili e quelle che necessitano di lavori e permessi per tornare a produrre, cresce il numero persone che torna sui propri posti di lavoro, più che per obbligo per un senso di responsabilità verso la propria comunità. Tutti con un solo motto: “risorgeremo”.
“Qui è come a Pompei”, dice Ermanno Serfaustini, responsabile manutenzione della Svila – produttrice di pizze surgelate con sede a Visso – mentre si aggira per lo stabilimento messo a soqquadro dal sisma del 26 ottobre. Domina l’odore stantio di formaggio, impasto, sugo irrancidito. “Il terremoto è arrivato mentre eravamo in produzione – spiega Ermanno – tutto si è fermato alle 19, è cristallizzato”. Aziona un nastro trasportatore, da cui fuoriescono focacce che mollicce e ammuffite cadono in un secchio. Attorno a lui una ventina di operai. Tutti sfollati. “E pensare che avevo appena finito di arredare la mia villetta a Visso, era un gioiellino – continua Ermanno con un sospiro – ma ora non ci voglio pensare, l’importante è che sia vivo”. Ermanno vive al Medusa, uno dei villaggi sulla costa marchigiana messi a disposizione dagli albergatori, “un lusso rispetto a chi sta nei tendoni”. Nonostante l’emergenza, fin dal 31 ottobre è tornato in fabbrica. Per rimetterla a posto. “Non so se dare la priorità alla famiglia o al lavoro”, dice mentre controlla un’enorme grattugia di formaggio.
La Svila, 140 operai, è un importante motore economico nell’area del maceratese. “Fatturiamo 18 milioni di euro annui – puntualizza l’amministratore delegato Maurizio Crea – ma al di là dei guadagni il vero patrimonio è quello umano”. E l’entusiasmo dei suoi dipendenti lo conferma. “Le case non le abbiamo più. l’unico punto di riferimento è il lavoro”, dice Ermanno. Tra trapani, muletti che corrono qua e là, enormi forni da pulire, il pranzo nelle tende della Croce Rossa, il tempo scorre velocemente alla Svila. Poco prima di uscire, alle 17, una collega avvicina il tecnico e gli porge una trapunta. “Prima questa era una famiglia allargata – sorride Ermanno – oggi è una vera famiglia”.
La famiglia è tutto per le sorelle Varnelli. Con quasi 150 anni di tradizione, la distilleria che porta il loro nome è molto più di un’impresa locale. È radicata nel territorio e allo stesso tempo riconosciuta all’estero: gli amari Varnelli sono stati citati da Forbes tra i best spirits nel 2015 e 2016. Il primo liquore prodotto dall’azienda nata nel 1868 dal bisnonno Girolamo, l’amaro Sibilla, racchiude nel nome l’ethos delle tre sorelle, Simonetta, Donatella e Orietta. “Siamo gente di montagna, nate sotto il monte Bove, ne abbiamo visti di terremoti e non ci piegheremo nemmeno davanti a questo”, dice Orietta, responsabile dell’export, i capelli lunghi perennemente arruffati di quella che non si ferma mai. Ogni giorno le tre sorelle partono dal litorale – hanno perso la loro casa a Pievebovigliana – e si dirigono a Muccia, dove proprio il 28 ottobre avrebbero festeggiato i 20 anni della nuova sede, nell’area industriale Maddalena. Dai primi rilevamenti non sembrano esserci danni strutturali, ma mancano i sopralluoghi per l’agibilità. L’ufficio logistico è stato spostato temporaneamente a Civitanova Marche, grazie all’aiuto di alcuni dipendenti. “Stiamo lavorando con le rimanenze di magazzino – spiega uno di loro, Leonardo Lapucci, ex residente di Camerino, ora a Recanati – ma se non riprendiamo la produzione sarà un problema. Si avvicina Natale, in quel periodo fatturiamo il 30, 40%. Senza lavoro mi resterà solo la macchina”. Ha appena fatto un giro di recupero beni e mostra l’auto che straripa di vestiti, coperte, beni di prima necessità. Lancia un’ultima occhiata piena di speranza verso lo stabilimento, che porta inciso su una grande lastra di cemento il nome Varnelli, immobile e forte come i monti Sibillini.
Ma ci sono anche aziende che, nonostante si trovino in territori fortemente colpiti dal sisma, restano aperte. A Norcia c’è la Lanzi srl e la Grifo Latte, entrambe attive nel settore caseario e norcino. “Non metterò nemmeno un dipendente in cassa integrazione”, dice orgogliosamente David Lanzi, 78 anni, 5 figlie e un’azienda – la prima di Norcia – sulle spalle. La Lanzi lavora ogni giorno 100 quintali di carne e 100 di latte. Fondata nel 1962, ha superato altri terremoti. La struttura, antisismica, ha retto l’urto. “I miei operai sono stanchi – si sfoga Lanzi – la maggior parte di loro sta vivendo nelle tende, alcuni negli alberghi, si devono svegliare alle 5 di mattina e tornano a casa all’ora di cena. Non so quanto reggeranno in queste condizioni. Che i politici facciano qualcosa”.
Ed la viabilità ciò che più preoccupa Sabrina Di Simplicio, responsabile logistica della Grifo Latte. Come molti dipendenti dell’azienda viene da Amatrice, dove fino al 2011 c’era una sede. Sveglia all’alba, strade dissestate, il percorso che faceva in 30 minuti è diventato un’odissea di 2 ore. “Dal 24 non mi sono mai fermata, ma ora non ce la faccio più, sono esasperata”. Sabrina si definisce due volte sfollata: dalla sua casa e dal suo lavoro. “Prima venivo in azienda per ritrovare la mia quotidianità, per non pensare alla mia casa distrutta, ai morti. Ma dal 30, quando ho visto anche Norcia devastata, è calato il buio”.
Alice Despot, 30 anni, veterinaria, ha dovuto insistere con i colleghi per tornare al lavoro. Di Camerino, si è trasferita in un appartamento a Porto Potenza. “Non vedo casa dal 3 novembre, quando sono andata a recuperare il mio gatto Romeo – spiega – ma è una casa forte, ha resistito al ’97 e anche stavolta ce la farà. Sempre che finiscano le scosse”. Alice è borsista alla clinica veterinaria di Matelica, una sede distaccata dell’Università di Camerino. “Tutti mi dicevano di rimanere con la famiglia, di prendermi un pausa, ma sono felice di stare di nuovo qui. Mi aiuta a tenere la mente sgombra”. Nel reparto d’emergenza, dove lavora, nell’ultima settimana arrivano animali terremotati. “E’ toccante aiutare persone a cui è rimasto solo un cane o un gatto”, dice mentre sistema il collare vittoriano su un gattino tigrato, da poco risvegliatosi dall’anestesia. Lo tocca con gentilezza, il felino stiracchia le zampe. “Questa era una semplice operazione di routine”, sorride Alice. “Che bella la routine”.
Ma tra speranza, voglia di lottare, stanchezza e tanta determinazione, rimane il grande ostacolo della burocrazia. “Non possiamo rimanere improduttivi in attesa del sopralluogo AeDes, quello della Protezione Civile – tuona Maurizio Crea – pertanto ho deciso di muovermi autonomamente con ingegneri privati che sono già all’opera per la verifica del capannone, metro per metro. Devo muovermi, ho la responsabilità di 140 famiglie”.