24 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

terremoto amatrice

di Goffredo Buccini

L’Italia trema, ancora e ancora. Una scossa dopo l’altra, nella notte. Due mesi dopo, come in un film già visto eppure sempre più spaventoso. Umbria, Marche, Lazio, Toscana, Abruzzo. Fino a Roma. Fino a Firenze. Un nuovo terremoto nato quasi negli stessi luoghi, lungo la dorsale dei monti Sibillini che il 24 agosto ha fatto tanti lutti e crolli. Forse lungo una nuova faglia, forse sulla stessa, riattivata; ma non ha molto senso adesso il dettaglio tecnico, in queste ore nelle quali cerchiamo di frenare il panico, di rassicurare chi ci sta accanto, di telefonare a chi ci sta lontano nonostante le linee intasate. Di guardarci attorno per sapere e, al tempo stesso, con la paura di sapere. Castelsantangelo sul Nera dista un pugno di chilometri da Amatrice, l’epicentro nuovo è quasi accanto a quello vecchio, e il cuore degli abitanti di quelle zone, di questi nostri fratelli, è accanto al nostro, e anzi è assai più vicino, come un battito serrato che non cessa in questa notte cominciata troppo presto e che non finisce più. Una notte italiana che deve dirci tanto, farci capire tanto sul nostro Paese, sul modo di curarlo, tanto sulla nostra maniera di stare in Europa facendo riconoscere ai partner i diritti, i veri diritti dei nostri cittadini: il diritto alla vita senza paura. Stanotte la gente di Arquata, segnata sulla carne il 24 agosto, con un paese ridotto in macerie, non ha più le tende della Protezione civile, che sono state smontate da un pezzo, ma non ha ancora le casette promesse per marzo e dunque dorme al gelo, vecchi e bambini nelle macchine, sotto una pioggia che non molla. Stanotte la via Salaria, simbolo della capacità di Roma antica di collegare il centro del suo impero alle province, è interrotta e ridotta a mulattiera di ansie e paralisi perché il nuovo sisma ha smosso una vecchia frana di due mesi or sono, un macigno incombe sulla carreggiata e i terremotati di prima sono così nuovamente isolati dal terremoto di adesso. È un’Italia di terrore e di paradossi, la nostra. In questi due mesi la gente della valle del Tronto ha imparato a convivere con le scosse, lo sciame sismico è entrato nel quotidiano di migliaia e migliaia di nostri connazionali, come una lezione di storia da far ripetere ai bambini, come una visita di routine a un vecchio parente. L’ingiustizia di questa realtà ci sta addosso e pesa su ciascuno di noi. L’angoscia ci è diventata compagna, perché le nostre case, almeno il settanta per cento di esse, non ha nessun criterio antisismico, è stato tirato su senza pensare a notti maledette come questa. E allo stesso modo abbiamo scavato le montagne, intasato i greti dei fiumi, dimenticato e ignorato le norme di sicurezza, zittito chi dava l’allarme. Questa è dunque, con le nostre colpe, la nostra cattiva coscienza ma anche con il nostro coraggio di riconoscere gli errori e ripartire, l’Italia che da oggi, con più forza, andiamo a raccontare all’Europa. Un’Italia che smotta, cade a pezzi, e che ha bisogno di anni e anni di cure, di ricerca, di quel lavorio che Matteo Renzi ha battezzato Casa Italia ed è, dev’essere, il punto di rinascita e di messa in salvo di un patrimonio urbanistico, di un assetto idrogeologico del quale per decenni non ci siamo preoccupati.
Non è faccenda di zero virgola qualcosa, quella che andiamo a raccontare a Bruxelles. Non si tratta di invocare uno sconto sul bilancio, un tocco di flessibilità in più. È una realtà estrema che ci mette alla prova, come quella delle migrazioni che ci attraversano, premono sulle nostre coste, e fanno dell’Italia (e della Grecia) terra europea dai confini che è impossibile proteggere e che spingono Renzi a minacciare il veto sul bilancio dell’Unione se tutti i partner non si decideranno ad accogliere la loro quota di profughi. L’Europa, di fronte a tutto questo, non può chiudere gli occhi. Stanotte meno che mai. Non può far finta di nulla. Perché l’Europa siamo noi, perché le nostre città e i nostri borghi, i borghi medievali che più sono a rischio in queste ore, vivono nella cultura europea, fanno parte della crescita e dell’identità dei cittadini di Parigi, di Berlino, di Madrid. Perché i ragazzi d’Europa non capirebbero, domani, il dolore della nostra gente lasciata sola.

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