Fonte: La Stampa
di Lorenzo Vidino
Rafforzamento dell’intelligence e prevenzione in rete
L’Italia è stata finora brava e fortunata nel confrontare la minaccia del terrorismo jihadista. Brava perché ha risposto con un sistema normativo adeguato (figlio della lotta al terrorismo di altre matrici ed alla mafia) e con un eccellente lavoro del nostro Antiterrorismo. Fortunata perché non ha visto gli alti livelli di radicalizzazione degli altri Paesi europei e perché nessuno dei pochi radicalizzati nostrani è andato al di là delle mere intenzioni di colpire sul nostro territorio.
Non ci si può però cullare sugli allori e si capisce che, proprio in una fase in cui il numero delle seconde generazioni musulmane e dei nuovi arrivi da Paesi islamici sono in crescita esponenziale, le cose potrebbero cambiare per il peggio, portandoci a vedere le drammatiche dinamiche viste in Francia, Belgio o Inghilterra.
É proprio per questo che ieri è stata approvata alla Camera la prima strategia italiana di prevenzione della radicalizzazione. Si tratta di un approccio nuovo per il nostro Paese, ma rodato in tutta Europa e in molti Paesi mediorientali, dove è opinione comune che una strategia basata solamente sulla repressione sia incompleta.
Monitoraggio, inchieste, lavoro d’intelligence, arresti ed espulsioni sono la spina dorsale del contrasto al terrorismo. Ma è poco realistico pensare che si possa sempre stanare il prossimo commando o individuare il prossimo lupo solitario prima che colpiscano. É per questo che alla repressione sono ormai da anni affiancate misure di prevenzione della radicalizzazione. Si cerca cioè di evitare che giovani musulmani siano attratti dalle sirene del Califfato o di de-radicalizzare soggetti che già lo sono stati, in casi estremi anche foreign fighters di ritorno o condannati per terrorismo da poco rilasciati.
La nuova legge introduce questo approccio anche in Italia. Inizialmente proposta dagli onorevoli Manciulli e Dambruoso, che da anni a vario titolo si occupano della materia, la legge ha subito varie modifiche durante l’iter parlamentare. Dal testo esce la nuova strategia che, coordinata centralmente da un organo apposito e da un comitato parlamentare, ma implementata a livello locale, pone in essere una serie di iniziative volte a impedire che giovani musulmani nati e cresciuti nel nostro Paese voltino le spalle alla nostra società e si radicalizzino.
Si vuole dunque contrapporre al messaggio jihadista non solo un contrasto poliziesco, ma un vero e proprio muro culturale, coinvolgendo varie parti dello Stato (fondamentale per esempio il ruolo della scuola) e della società civile (in primis comunità islamiche, ma anche il mondo dell’accoglienza e le società di Internet).
La legge dedica giustamente un’attenzione speciale alla radicalizzazione su internet e nelle carceri. Ma i fronti su cui lavorare sono molteplici. Ed è chiaro che la legge porta una parte della responsabilità della prevenzione della radicalizzazione a tutta la società e non solo alle forze dell’ordine o di intelligence.
È una rivoluzione culturale per il nostro Antiterrorismo, che si deve aprire maggiormente all’interazione con vari partner non usuali, ma anche per la nostra società tutta, che proprio perché non ha ancora visto le drammatiche dinamiche di radicalizzazione e polarizzazione sociale viste Oltralpe, deve adoperarsi perché non si replichino anche nel nostro Paese.