23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Terrorismo Dacca

di Paolo Valentino

C’è un drammatico paradosso, nell’attentato di Dacca e nel barbaro assassinio di 9 italiani da parte dell’ennesimo franchising dell’Isis. È quello che vede l’Italia trafitta dal terrorismo jihadista non in uno dei luoghi dove più è esposta dalla sua presenza militare (Afghanistan, Iraq, Libano, solo per citarne alcuni) o economica (Egitto, Libia) ma in un Paese ai margini dei nostri interessi geo-strategici. La circostanza è inquietante. Perché se da un lato suggerisce un elemento di casualità nel massacro, l’assenza cioè di una volontà mortifera mirata specificamente contro l’Italia, dall’altra squarcia davanti a noi un abisso dal quale a torto o a ragione ci siamo finora sentiti in qualche modo lontani. Non che alcuno si facesse troppe illusioni su questa lontananza. Ma è un fatto che fino all’altro ieri, a parte la fatale morte di Valeria Solesin al Bataclan e le vittime del museo di Tunisi, l’Italia non compariva fra le nazioni vittime del terrorismo a firma Isis. Bisognerebbe risalire fino a Nassiriya per ritrovare il nostro Paese esplicito oggetto del desiderio di morte dei criminali in nome dell’Islam. Allora però la scelta e le ambiguità di una missione, che si voleva di pace all’interno di una coalizione ancora in guerra, avrebbero potuto e dovuto metterci in guardia. Ora è diverso.

Il messaggio triste, solitario y final, che viene dal Bangladesh è che nessun essere umano occidentale è immune dalla violenza jihadista. E non è immune, tanto più nel momento in cui le sconfitte o gli arretramenti di Daesh nelle sue zone di dominio favoriscono una strategia della disperazione, fatta di azioni sanguinarie, diffuse e imprevedibili. E più ancora delle parole, sono le espressioni e i toni del capo dello Stato, del ministro degli Esteri e soprattutto del presidente del Consiglio a segnalare che siamo già dentro una nuova fase, dove un nemico che non ha alcuna paura di morire si muove ovunque esista un varco debole, ristorante, aeroporto o centro commerciale, dove uccidere degli occidentali, senza riguardi per eventuali vittime islamiche.

I morti di Dacca sono i primi che cadono under the watch, sotto il mandato di Matteo Renzi. Ed è giusto attendersi risposte adeguate, un salto di qualità. Fa bene il presidente del Consiglio a insistere sul concetto «un euro per la cultura per ogni euro speso per la sicurezza». «Chi chiude le scuole di musica mette a rischio la sicurezza nazionale», diceva un bravo ministro dell’Interno tedesco, Otto Schily. Il punto è che negli ultimi anni in Italia l’euro per la sicurezza è stata moneta rara. Come ricordava ieri sul nostro giornale il generale Marco Bertolini, si sono drasticamente ridotte le risorse della Difesa, della Sicurezza e, cosa che pochi ricordano, degli Esteri, proprio nel momento in cui rivendichiamo al nostro Paese ruoli di primo piano sulla scena internazionale. Ma, ammoniva l’ufficiale, «non è più il tempo di love and peace».

La nostra intelligencefa miracoli ed è anche grazie all’efficacia dei servizi se l’Italia fino a sabato scorso non aveva guardato in faccia la Gorgone jihadista. Ora si tratta di cambiare approccio culturale, politico e strategico. Tagliare dove serve, eliminare strutture inutili, ma investire in tecnologia, mezzi e personale qualificato, semplificare i troppi enti che si occupano, spesso in conflitto fra di loro, di difesa. Portare dentro un unico ufficio tutte le attività della cyber security, la nuova frontiera della prevenzione. È necessario ridare fiducia e risorse alla nostra formidabile diplomazia. Non ultimo, evitare calcoli politici e ambiguità, quando si decide di stare nelle missioni internazionali (tipo voliamo, ma non spariamo) anche per poi far valere veramente il peso di quei contributi nelle sedi opportune, dall’Onu al G7. L’idea della cabina di regia unica a Palazzo Chigi sulla sicurezza, circolata nelle scorse ore, è una già buona indicazione. Ma da sola non è sufficiente. Occorre cambiare grammatica, ma anche paradigma di riferimento. Non potrà bastare proclamare il lutto nazionale per onorare i morti di Dacca. Questa volta, ne va della vita dei nostri connazionali in Italia e all’estero e del nostro stesso modo di essere nazione, si deve dare di più.

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