In FdI pensano a una sua mossa anti Zaia. Altri sperano nel governatore al posto del leader
Giorgia Meloni: «Siamo una famiglia affiatata». Antonio Tajani: «Andiamo d’amore e d’accordo». Matteo Salvini: «In Giorgia ho trovato un’amica». Ventiquattr’ore dopo le promesse solenni scandite sul palco di Cagliari, la foto della tregua elettorale è già in pezzi. Il voto con cui il Senato ha bocciato il terzo mandato e spaccato la maggioranza, rivela il vero stato dei rapporti nel governo. Le tensioni tra i leader, la competizione per il consenso, la battaglia tra e dentro i partiti.
Lo scenario
La Lega ha forzato e ha perso. Una sconfitta che brucia e costringe gli alleati a interrogarsi sui veri obiettivi di Salvini. Perché ha tirato dritto, nonostante Meloni gli avesse intimato di fermarsi? Perché è andato testardamente alla conta sapendo che, per dirla con un meloniano, «si sarebbe schiantato contro un muro»? Il sospetto dei patrioti è che il regolamento di conti non sia solo tra Lega e FdI, quanto dentro al Carroccio. Uno scenario che aggiungerebbe legna al fuocherello che minaccia le fondamenta dell’alleanza di governo.
Il saldo della giornata sta chiuso nelle parole del senatore Enrico Borghi di Italia viva: «Una sciarada. Meloni schiaffeggia Salvini, Salvini tumula politicamente Zaia, Conte corre in soccorso della premier, Schlein manda a fondo De Luca, Bonaccini e Decaro…». Un caos, che dilania trasversalmente le forze di governo e allarga il solco tra i presidenti di Regione di destra e sinistra e i loro stessi partiti. Borghi ha provato a convincere dem e M5S a votare con Lega e Italia viva, così da mandare sotto la leader della destra, ma il «lodo» del renziano non è passato. Meloni, che poteva uscirne a pezzi, ha vinto. E il grande sconfitto è Salvini.
Ma se la premier e i suoi fratelli sono a dir poco spiazzati, è perché i conti non tornano. Lei in tv sdrammatizza, assicura che lo scontro sul terzo mandato non crea al governo problema alcuno, eppure i suoi parlamentari sono pieni di sospetti sulle vere intenzioni del ministro delle Infrastrutture. «Mercoledì in Consiglio dei ministri Giorgia era convinta che Salvini stesse bluffando e che avrebbe fatto ritirare l’emendamento», rivela una fonte di governo. E poiché così non è stato, i meloniani pensano che la partita del Senato sia tutta interna al Carroccio e che Salvini abbia lavorato non per difendere Zaia, bensì per affossarlo: «Mettendo una croce sul suo nome come prossimo candidato alla presidenza del Veneto, il segretario della Lega lo costringe a correre per un seggio alle Europee». Una scelta che impedirebbe al presidente del Veneto di contendere all’attuale segretario la leadership del partito.
Il dem Francesco Boccia ci vede invece un «braccio di ferro per questioni di potere» tra Salvini e Meloni. E il ministro di FdI Luca Ciriani, che le ha provate tutte per convincere la Lega a ritirare la proposta, bacchetta col suo garbo i leghisti: «Se si scrivono le norme per favorire o sfavorire qualcuno, si fanno pasticci».
La Lega promette che la battaglia continuerà in Aula, il che allarma ancora di più gli inquilini di Palazzo Chigi e via della Scrofa. Se l’emendamento sarà ripresentato, spiegano dentro FdI, verrà di nuovo bocciato e «sarà un’altra sfiducia a Luca Zaia». In commissione non sono sfuggite a nessuno le parole con cui il meloniano Andrea De Priamo ha dato voce a quel che la premier pensa sulla necessità di «riequilibrare» al Nord i rapporti di forza tra i partiti di maggioranza: «Anche se passasse il sì al terzo mandato, chi lo dice che troveremmo l’accordo per ricandidare Zaia?». L’impressione, tra i senatori di opposizione, è che mentre Salvini lavora per logorare Meloni, a sua volta lei non perde occasione per indebolire il suo vice e consentire la scalata di Zaia al vertice della Lega: senza Salvini il partito potrebbe svoltare su posizioni più centriste, lasciando campi aperti per Meloni a destra.
Dentro FdI c’è chi si porta avanti con la fantasia politica e chi invece si chiede se le scorie dello scontro sul terzo mandato intralceranno la corsa di Paolo Truzzu in Sardegna. Non è un mistero: dopo il siluramento dell’ex presidente Christian Solinas i meloniani hanno paura che, nonostante l’impegno di Salvini sul territorio, i leghisti sardi non muoiano dalla voglia di chiudersi in cabina per mettere una croce sul nome del candidato di Meloni.