Fonte: Corriere della Sera
Intervista al vicepresidente della Commissione Europea: «Per la Libia serve un uomo come Minniti»
«Io non so se sarà il Green Deal da solo a salvare Venezia. Ma sono certo che senza di esso un grande patrimonio dell’umanità andrà perduto. Se continuiamo così, se non limitiamo l’aumento delle temperature medie frenando l’innalzamento del mare, non vedo possibilità. E vedo grandi rischi anche per l’agricoltura italiana, dove crescono i fenomeni di desertificazione».
Frans Timmermans ha con l’Italia un affare di cuore. Socialista olandese, il vice-presidente della Commissione europea considera il nostro Paese, dove ha vissuto a lungo a giovane, come parte della sua identità. Per questo il primo esempio che gli viene in mente per spiegare l’agenda verde dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, è proprio quello della Serenissima. Timmermans è lo «Zar del clima» incaricato di orchestrare il più ambizioso progetto del nuovo governo della Ue: fare dell’Europa il primo continente neutro dal punto di vista delle emissioni di CO2 entro il 2050 e intanto dimezzarle da qui al 2030. Lo incontro nel suo ufficio al 12mo piano del Palazzo Berlaymont.
Avete scommesso molto se non tutto sul Green Deal. Ma l’inizio non è promettente. Al Consiglio europeo in dicembre, la Polonia ha bloccato un’intesa. Mentre la Conferenza sul clima di Madrid è stata un fallimento. Ce la farete a superare gli ostacoli?
«Il Green Deal è sicuramente un progetto ambizioso e complicato. Ma è quello che vuole la nostra società, è quanto chiedono i giovani in Europa e nel mondo. Anche la scienza è chiarissima: se non facciamo nulla ci saranno conseguenze insostenibili per tutti, ma soprattutto per noi. Non abbiamo scelta, dobbiamo fare questi cambiamenti. Tre grandi cose stanno succedendo contemporaneamente: la crisi climatica, la nuova rivoluzione industriale, i mutamenti geopolitici. È una sfida enorme, con cui abbiamo il dovere di misurarci: abbiamo i mezzi, la consapevolezza e le conoscenze per vincerla. In campagna elettorale siamo stati noi socialisti a fare del Green Deal il nostro cavallo di battaglia, perché lo consideriamo una scelta esistenziale per il futuro della Ue, che deve servire a creare un società più giusta partendo dalle esigenze poste da queste sfide. Certo ci sono Stati membri che hanno dubbi: se usi molto carbone è ovvio che ci siano, ma anche i polacchi sanno che è una scelta non più evitabile».
Il Green Deal ha bisogno di nuove risorse. Ma il dibattito sul nuovo bilancio pluriennale mostra che i Paesi contributori netti, come la Germania e altri, frenano anche perché dovranno già sborsare di più per colmare il buco della Brexit.
«Certo se non c’è un buon accordo sul bilancio il Green Deal non si può fare in Europa. Un’intesa sul bilancio pluriennale ci sarà comunque. Ma se riusciamo a dimostrare ai Paesi contributori netti, compresa l’Olanda, il mio Paese, che se danno un po’ di più, sarà usato per realizzare questi cambianti fondamentali e necessari in tema di politiche climatiche nell’intera Europa, allora abbiamo una chance. Non possiamo fare le stesse politiche di prima, dobbiamo cambiarle, ma dobbiamo tutti camminare nella stessa direzione. Io ci credo e con la presidenza tedesca, che inizia a giugno, abbiamo ottime possibilità di riuscirci».
Un’altra contraddizione è che i Verdi al Parlamento europeo non hanno votato questa Commissione che si vuole verde. Come farete a superare questa fragilità?
«Io lavoro ogni giorno con i Verdi e mi impegno affinché condividano in pieno le nostre politiche. Io credo siano importanti non tanto per i numeri quanto per i contenuti, perché loro hanno esperienze e idee molto utili per il Green Deal e inoltre portano dentro l’Europa la coscienza della dimensione esistenziale della questione climatica».
In Austria sta per insediarsi il primo governo tra popolari e Verdi in Europa. La prossima potrebbe essere la Germania. È la conferma che l’agenda climatica non è patrimonio esclusivo della sinistra?
«Credo sia un bene che l’agenda verde appartenga a tutti. Prendiamo esempio dalla Gran Bretagna dove l’ecologismo non ha una connotazione ideologica. La sfida del Green Deal è una sfida esistenziale da affrontare insieme. L’unica mia riserva, lo vediamo anche in Germania nei Laender dove i Gruenen governano con i conservatori, è che ci sia una tendenza a trascurare la dimensione sociale. Insistere sull’aspetto sociale del Green Deal è il compito di noi socialisti».
In campagna elettorale, lei ha parlato della necessità di creare giganti europei, per esempio nelle batterie elettriche o nell’idrogeno. Ma questo non è in contraddizione con la politica dell’anti-trust della Commissione?
«Si. Ma non per questo. Dobbiamo ripensarla perché le regole attuali sono state scritte per la terza rivoluzione industriale, mentre noi oggi siamo nella quarta. Ma noi abbiamo già creato Airbus e non so dove saremmo oggi se non l’avessimo fatto. Ora dobbiamo pensare ad altri settori, compresa l’auto. Il caso Allstom-Siemens non fa testo, lì c’era davvero un problema di concorrenza. È cambiata l’economia e noi dobbiamo cambiare le regole. Le grandi aziende americane non hanno più un legame geografico ed è giusto che paghino le tasse dove fanno profitti».
Questa commissione si vuole geopolitica. Eppure nelle ultime settimane, di fronte a sviluppi gravissimi in Medio Oriente, l’Europa è apparsa incapace di una reazione collettiva. Cominciamo con l’Iran: l’uccisione di Soleimani, l’annuncio di Teheran che non rispetterà più l’accordo nucleare, fiore all’occhiello della passata Commissione, hanno prodotto solo un blando comunicato del nuovo Alto Rappresentante, Borrell, neppure sottoscritto dai ministri degli Esteri.
«Di fronte a un’azione unilaterale degli americani, Josep Borrell ha fatto la cosa giusta. A nome di tutta la Ue, ha invitato il ministro degli esteri iraniano a Bruxelles per discutere la situazione e rilanciare il dialogo. Primo compito dell’Europa è convincere le parti a evitare una escalation. Conoscendo un po’ l’Iran credo che ci sia ancora volontà di salvare l’accordo, che ricordo è stato un grande successo di Federica Mogherini. Non dobbiamo mai dimenticarci che la Ue nasce come progetto storico di pacificazione. Promuovere la pace e la cooperazione non solo in Europa è nel nostro DNA. Se abdichiamo a questo ruolo temo che nessun altro lo svolgerà nel mondo».
L’Europa non ha fatto poco per aiutare l’Iran ad aggirare le sanzioni americane?
«Abbiamo fatto un lavoro costruttivo e gli iraniani lo hanno riconosciuto. Ma dobbiamo anche riconoscere che i problemi con l’Iran esistono: le ambizioni regionali di Teheran, il sostegno a organizzazioni estremiste, il ruolo in Siria, il programma missilistico. Io penso che Borrel abbia preso la posizione giusta».
In Libia parlano le armi, Russia e Turchia sembrano pronte a dividersi le zone di influenza e la missione Ue a guida italiana rischia di fallire. Come vuol far valere la Commissione la sua dimensione geopolitica?
«Con la sua esperienza e i suoi contatti, penso a una personalità come l’ex ministro Minniti, il governo italiano ha la possibilità di costruire insieme a Borrell e alla Commissione una politica europea ragionevole e importante che eviti l’escalation. La situazione in Libia dev’essere una priorità assoluta per l’Ue, non solo per le migrazioni. Nell’intero Nord Africa, Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria dobbiamo mostrare di aver capito che senza di loro non può esserci stabilità nella regione».
Che atteggiamento deve avere l’Europa verso aziende cinesi come Huawei, che pongono anche un problema di sicurezza?
«Il documento della Commisione Juncker in proposito rimane attuale: c’è una possibilità di cooperare con la Cina, senza dimenticare la concorrenza geopolitica. Non dobbiamo essere ossessionati, ma neppure ingenui perché c’è sicuramente una volonta di controllo da parte cinese. Occorre una posizione europea, aperta alla collaborazione ma nei nostri termini. Ma per questo dobbiamo essere uniti e ancora abbiamo molto lavoro da fare. Nella crisi abbiamo chiesto a Grecia e Portogallo di vendere i propri assets, come porti e società di trasporto pubblico. Ma nessuno ha detto loro non vendeteli ai cinesi. Dobbiamo essere coerenti e onesti con tutti i Paesi membri, concordando criteri e linee guida chiari e precisi».
L’instabilità politica dell’Italia la preoccupa? E come vede la cooperazione con l’attuale governo?
«La collaborazione con questo governo è ottima, non ho dubbi. Ci sono scelte difficili da fare da parte dell’Italia soprattutto sul piano economico. La presenza di Paolo Gentiloni nella Commissione è preziosa: ci dà una mano importante a capire la situazione italiana e dà una mano all’Italia a trovare soluzioni comuni con noi. Io sono abbastanza ottimista. Sono appena tornato dalla Sicilia e quando parlavo con i giovani ho notato delusione nella politica ma anche tanta volontà positiva e questo mi dà speranza. Io non posso immaginarmi un’Europa senza l’Italia e un’Italia che volti le spalle all’Europa. L’Europa non esiste senza l’italia. Anche se vedo dei politici italiani che attaccano a testa bassa l’Unione europea. Ma senza l’Europa non c’è futuro. Noi dobbiamo cambiarla non spaccarla».
Uno dei temi su cui cambiare è quello delle migrazioni, dove l’Italia, come molti hanno tardivamente riconosciuto, è stata spesso lasciata da sola. Che tipo di patti proporrete?
«Non è stata la Commissione a lasciare l’Italia da sola, ma certi Stati membri. Quello è uno dei problemi che cercheremo di risolvere: che alcuni non siano più in grado di bloccare soluzioni urgenti e necessarie. La politica iniziata dal governo Gentiloni con il ministro Minniti è stata coronata da successo. La situazione è migliorata non in conseguenza delle dichiarazioni bellicose del signor Salvini che si considera il salvatore del Paese, ma come conseguenza di politiche realizzate passo per passo con l’Unione europea. Occorrono prove concrete di solidarietà. Faremo proposte per un sistema sostenibile, per chi si rifiuta individueremo altre opzioni. Ma sono gli amici del signor Salvini che finora hanno bloccato soluzioni solidali».
Lei è stato criticato in Italia quando con gli altri commissari socialisti a Strasburgo ha cantato Bella Ciao. Ci sono stati episodi di aggressioni violente, da ultimo anche in Italia a Venezia. C’è una emergenza neo-fascista in Europa?
«Si. Ovunque vedo antisemitismo, razzismo, xenophobia c’è una emergenza fascista. Anche se non usano le stesse denominazioni, ad accomunarli sono odio e rabbia. Il pericolo più grave che vedo è la grande bugia della sostituzione etnica che sarebbe in corso: la leggenda secondo cui stanno prendendo i nostri posti. Si cercano colpevoli, si fomentano odio ed esclusione. Se uno legge M di Scurati, un romanzo storico straordinario, capisce come Mussolini riusci a trasformare la paura in odio e l’odio in azione, trovando poi la giustificazione per eliminare i suoi oppositori. Anche oggi si cerca di alimentare la paura e additare un colpevole, instillando un veleno sottile. Questa è una bugia pericolosa e compito della sinistra è di smascherarla, parlando della paura ma trovando insieme alle persone una soluzione realista senza puntare il dito contro le minoranze. Quanto a Bella Ciao, non capisco come si possa esser criticato per aver dimostrato il nostro rispetto verso i partigiani italiani che hanno combattuto per la libertà. Lei si è riferito all’aggressione ad Arturo Scotto, dove anche un altro giovane che ha cercato di difenderlo è stato malmenato. La loro reazione dimostra che c’è ancora Zivilcourage, coraggio civico. È quello che dobbiamo dimostrare. Come ha fatto il giovanissimo Simone di Torre Maura, che ha criticato a viso aperto il gruppo di Casa Pound che guidava le proteste contro l’arrivo di un gruppo di 70 Rom».
Cosa pensa e cosa si attende dalla nuova proprietà della Roma, la sua squadra del cuore?
«Difficile dire. Almeno mi sembra che il nuovo proprietario sia disposto a investire e soprattutto capisca che c’è una tradizione e una passione che meritano di essere sostenute. Spero si arrivi alla costruzione del nuovo stadio ,importantissimo per il futuro della società. E come cavaliere della Roma, spero anche che potremo finalmente vincere uno scudetto».