La leader di FdI e premier in pectore non si è sbilanciata sulle liste. Da Crosetto a Urso anche il suo partito ha un proprio elenco
Giorgia Meloni ha almeno tre liste nelle mani. Per la formazione del governo ha finora ascoltato e preso nota, lasciando Salvini Berlusconi, dopo i rispettivi colloqui, con il solo riscontro dell’accettazione di un elenco di desiderata. Nomi che i suoi alleati vorrebbero al governo, ma sui quali sembra che lei non si sia espressa. Poi c’è la lista del suo partito, che lei può tessere e disfare, ma anche qui di candidati ce ne sono parecchi e non è detto che tutti trovino un posto nell’esecutivo che potrebbe giurare entro fine mese.
Prima ancora dei nomi, però, ci potrebbero essere alcune sorprese nell’assetto del governo stesso: durante la campagna elettorale la presidente di FdI ha parlato più volte di un ministero del Mare, una delega che dovrebbe formarsi trasferendo competenze di diversi ministeri, per valorizzare al massimo la geografia del nostro Paese, dalla valorizzazione delle coste alle infrastrutture portuali, dai risvolti turistici a quelli strategici per l’economia. Potrebbe essere una delle novità, così come la formazione di un ministero dello Sviluppo economico a parte, con la creazione di deleghe strutturate sul Made in Italy, cercando di potenziare la manifattura italiana, seconda in Europa. Il progetto di una massiccia deregulation sulle autorizzazioni per l’installazione di imprese che investono sul fotovoltaico — tema che per Draghi è diventato un cruccio negli ultimi mesi — potrebbe anch’esso avere un impatto sulle deleghe che andranno assegnate.
Sulle liste hanno le idee chiare in Forza Italia. Il loro capodelegazione al governo sarà Antonio Tajani, che avrà certamente la responsabilità di un ministero di peso, gli Esteri o gli Interni, o forse anche la Difesa, se non dovesse andarci un esponente di FdI (Tajani ieri ha ribadito l’alt ai tecnici: «Siamo per un governo politico»). Anna Maria Bernini, capogruppo uscente a Palazzo Madama, è insieme a Licia Ronzulli, senatrice, in cima alle richieste avanzate dal Cavaliere. Sembra solida anche la candidatura di Alessandro Cattaneo, mentre si è indebolita quella di Paolo Barelli, braccio destro di Tajani, già capogruppo azzurro alla Camera. L’ex deputato Simone Crolla, consigliere della Camera di commercio americana, solide relazioni transatlantiche, potrebbe aspirare a un posto da viceministro.
Nella Lega il deludente risultato elettorale aggiunge incertezze alla partita, anche se Salvini si dice ottimista e impegnato per dare al Paese la «squadra migliore possibile». In quale ruolo giocherà lui è ancora presto per dirlo: se fosse vicepremier potrebbe avere una tribuna anti Ue al ministero dell’Agricoltura, mentre resta un’opzione il ministero del Lavoro. Edoardo Rixi, salviniano di ferro, dovrebbe avere un altro posto di rilievo (forse Infrastrutture), così come Gian Marco Centinaio ed Erika Stefani. Il profilo tecnico di Giulia Bongiorno, che nei 18 mesi di governo Draghi ha fatto il controcanto alla Guardasigilli Marta Cartabia, potrebbe indirizzarla verso la Giustizia, ma sembra più probabile il ministero della Pubblica amministrazione. Mentre la friulana Vannia Gava, ora sottosegretaria al ministero per la Transizione ecologica, potrebbe fare un salto in avanti ottenendo la guida di un ministero.
Nella squadra che fa riferimento a Giorgia Meloni invece i nomi sono tanti e in alcuni casi poco conosciuti. I responsabili dei dipartimenti del partito, una squadra di fedelissimi di oltre 30 persone, in larga parte poco note, possono tutti aspirare a rappresentare l’esecutivo italiano. Poi ci sono i big, certo: Guido Crosetto (può fare il ministro o avere un ruolo a Palazzo Chigi), Adolfo Urso, Raffaele Fitto, Maurizio Leo (esperto di fisco), Giovanbattista Fazzolari, Fabio Rampelli. Molti di loro, ancora oggi, sono incerti sul posto che ricopriranno. Meloni finora ha discusso, ricevuto, si è confrontata, ma ha chiesto a tutti di non aspettarsi promesse, almeno per il momento.