19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

Il sindaco è il fondatore di Reporters Sans Frontières. Ma ora ogni giorno attacca la comunità musulmana, che teme anche la “presa di Parigi”

“Il sindaco non ha una faccia sola. Se lo incontriamo per strada ci saluta cordialmente, ma quando lo ascoltiamo parlare in tv fa paura”. Safia è seduta sotto ai platani delle Allées Paul Riquet, i viali dedicati all’ingegnere che nel Seicento costruì il Canal du Midi. C’è un sole tiepido. La donna marocchina, puericultrice in una scuola materna, si è trasferita dieci anni fa nel sudovest della Francia senza immaginare che Béziers sarebbe diventato il nuovo laboratorio ideologico dell’estrema destra alla conquista del potere. Il sindaco Robert Ménard accoglierà tra qualche giorno una conferenza dal titolo “De-islamizzare l’Europa”.
Da quando è stato eletto, il giornalista e fondatore di Reporters Sans Frontières, ha moltiplicato le provocazioni contro la comunità musulmana: anatemi sui troppi negozi di kebab, sulla maggioranza di bambini stranieri nelle classi, la sharia che sostituisce le leggi della République. Occhi verdi, sguardo fiero, volto incorniciato dal velo, Safia ammette che qualcosa è cambiato. “Dopo gli attentati, alcune amiche hanno deciso di togliersi l’hijab nel timore di essere aggredite. Io no, non penso sia la soluzione”.
Scendendo dalla città alta, il reticolo di vicoli del quartiere Garibaldi è stato ribattezzato “Piccola Casablanca”. A metà di rue de la Rotonde, si sente una banda suonare. Il centro della Cimade, una delle associazioni umanitarie più attive, è stato costruito a suo tempo per i rifugiati politici spagnoli. Oggi accoglie una cinquantina di profughi venuti da Siria, Eritrea, Sudan. “Siamo finanziati dallo Stato, il sindaco qui non può nulla” spiega il direttore Jean-Philippe Turin. Anche lui dà prova di sangue freddo davanti alla propaganda xenofoba del nuovo uomo forte della città. “Bisogna restare pragmatici – commenta – e batterci sulle procedure”. Finora l’Ong ha vinto molte cause in tribunale. Appena eletto Ménard si è presentato in uno squat dove era accampata una famiglia di siriani. “Non siete i benvenuti!” ha proclamato con tanto di video su YouTube. Alla fine, nota il responsabile della Cimade, la famiglia è ancora a Béziers e ha ottenuto il permesso di soggiorno.
Ménard appare talvolta come un provocatore da bar: tutto chiacchiere e distintivo. “È un po’ come Trump solo che non può contare sull’apparato dello Stato” conclude Turpin. Ai volontari del centro rifugiati vengono i brividi al pensiero che l’ultimo argine, quello del governo, possa saltare. “Siamo la prova che tutto può precipitare molto in fretta” osserva Jean-Paul Vandermeeren, sfortunato candidato della sinistra alle ultime elezioni locali del 2014. La destra, che governava da quindici anni, è stata allora sconfitta da Ménard, indipendente sostenuto dal Front National. Nel 2007 Nicolas Sarkozy era stato il primo a lepenizzarsi pensando di annientare così il Fronte. A Béziers è successo il contrario. E il rischio potrebbe ripetersi a livello nazionale in caso di ballottaggio tra François Fillon e Marine Le Pen. “Dalla destra estrema siamo passati all’estrema destra” commenta Didier Ribo, caporedattore di Envie de Béziers, risposta online all’organo del Comune Journal de Béziers con il quale il direttore Ménard pubblica foto di orde di migranti e titoli come “Ils arrivent!”, stanno arrivando. La città di 75mila abitanti ospita solo 130 richiedenti asilo, e ha appena rifiutato l’invio di una quarantina di profughi.
“Sono la goccia che fa traboccare il vaso”. Nel suo ufficio, il sindaco mostra due facce. “Non ho niente contro i musulmani” premette, giustificando poi la lotta contro l’immigrazione a causa della disoccupazione che colpisce un residenti su quattro. Ménard cura l’immagine della città. La polizia municipale è armata, gli spettacoli della feria, la corrida, vengono promossi per il turismo, i palazzi sulle Allées sono stati ripuliti. Il sindaco abita con la famiglia sui viali dall’eleganza haussmaniana, ricordo di un’epoca d’oro, quando Béziers regnava sulle aziende viticole della Linguadoca, era nota come la “capitale mondiale del vino”. Dietro alla repentina trasformazione politica dell’ex paladino della libertà d’espressione, 64 anni, molti vedono il ruolo decisivo della nuova moglie Emmanuelle, direttrice del sito di estrema destra Boulevard Voltaire. “È la persona più importante della mia vita” riconosce Ménard che non disdegna di essere paragonato a Trump. “Il muslim ban è solo troppo morbido, dovrebbe includere l’Arabia Saudita”. Qualche settimana fa ha ricevuto due rappresentanti della nuova amministrazione americana.
Béziers non è lo specchio della Francia intera ma è un buon termometro per misurare le tensioni che attraversano il Paese. Dopo gli attentati del 2015 c’è stato un record di attacchi razzisti, antisemiti e antimusulmani, diminuiti però l’anno scorso. “Nella nostra storia le questioni di identità hanno sempre diviso” ricorda Patrick Weil, storico dell’immigrazione. “Durante l’affaire Dreyfus – continua – eravamo sull’orlo della guerra civile, eppure ne siamo usciti facendo trionfare la giustizia e l’eguaglianza”. La memoria della guerra d’Algeria, spiega ancora Weil, è una ferita aperta nella società, come si è visto qualche giorno fa quando Emmanuel Macron è stato costretto a scusarsi per aver definito la colonizzazione “crimine contro l’umanità”. Il sentimento di essere stati traditi dalla République accompagna gli harkis, i musulmani delle truppe coloniali, e i pieds noirs, i francesi di Algeria, tutti rimpatriati dopo l’indipendenza del 1962 e presenti nel sud del Paese. La voglia di rivincita e lo spettro di rivivere il trauma di oltre mezzo secolo fa, si ritrovano nell’attuale dibattito sull’integrazione dei musulmani.
Non a caso molti ideologi della nuova destra identitaria sono discendenti di pieds noirs, come il saggista Eric Zemmour e lo stesso Ménard. Il sindaco, nato a Orano e arrivato a Béziers all’età di nove anni, conferma. “Date le nostre origini – dice – viviamo nel timore di sentirci improvvisamente stranieri a casa nostra”. I genitori costretti a fuggire dall’Algeria si erano trasferiti nel quartiere di Devèze, costruito negli anni Sessanta per accogliere i francesi rimpatriati. Oggi le case popolari sono abitate da maghrebini come Mohamed, 27 anni, che bazzica nella piazza del mercato. Sua madre pure è nata a Orano, e a modo suo ha subito un altro tradimento. “Dopo l’indipendenza è stata costretta a emigrare per trovare lavoro” racconta il giovane. “E ora ci troviamo a vivere in un ghetto”. L’odio si annida spesso in una Storia che ha troppi, diversi volti.

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