Disparità nella scelta di laici e togati per il Csm. E dubbi su chi abbia ancora la garanzia di essere sottoposto soltanto alla legge
Se a un summit di mafia un boss proponesse di scegliere per sorteggio i componenti della Commissione di Cosa Nostra, ne uscirebbe sciolto nell’acido, scherzava anni fa un inquirente quando, anche in una parte delle toghe disgustate dal correntismo corporativo e spartitorio, iniziava trovare consensi l’idea (ora fatta propria dalla modifica costituzionale proposta dal governo) di sorteggiare i membri togati del Consiglio superiore della magistratura. Battuta ironica legittimata non solo dalla delusione per quanto poco il sorteggio dei commissari avesse moralizzato ad esempio i concorsi universitari; o dal gioco polemico delle ascendenze di un sorteggio proposto, per la prima volta per il Csm, nel 1971 dal missino Giorgio Almirante. E nemmeno dal supermarket delle citazioni storiche sul sorteggio praticato dalla Repubblica di Venezia, al cui scaffale lo storico Frederic Lane ad esempio ricordava, a proposito delle nomine sorteggiate, che il Maggior Consiglio della Serenissima si riservasse di approvarle come «salvaguardia contro la scelta di persone incompetenti».
Il vero dazio pagato al sorteggio è più che altro la corrispondente perdita di autorevolezza istituzionale della categoria incapace (o tale additata) di selezionarsi: specie a fronte della invece ben maggiore legittimazione dei componenti Csm espressi in base alla Costituzione dalla politica, per i quali, nella proposta governativa, il sorteggio interverrebbe su una lista di professori e avvocati già selezionati per competenza e opzioni culturali dal Parlamento con voto fisiologicamente destinato dunque a fare pesare di più dentro il Csm l’impronta della maggioranza di turno.
Tra i tanti altri aspetti discutibili della ventilata riforma, incuriosisce la coabitazione tra il nuovo articolo 104 della Costituzione («La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente»), con il quale il governo rassicura i magistrati sull’assenza di rischi di sottoposizione all’esecutivo; e invece l’articolo 101 non modificato, «i giudici sono sottoposti soltanto alla legge». Oggi questa garanzia si proietta anche sui pm che appartengono alla medesima carriera. Ma una volta separati i pm dai giudici, e salvo declassare a pleonastica la coesistenza tra i due articoli 101 e 104, la garanzia di essere «sottoposti soltanto alla legge» resterebbe per i giudici, mentre per i pm diventerebbe in teoria non più impossibile essere sottoposti ad altro che solo alla legge, come ad esempio a indicazioni del ministro della Giustizia o dei capi degli uffici.