Fonte: La Stampa
di Alberto Simoni
Ma c’è anche chi scommette sul futuro nel Regno Unito: «Qui sei artefice del tuo destino»
Antonio Polledri è il proprietario del Bar Italia, avamposto italiano a Londra. Siamo a Soho, il quartiere che per primo ospitò gli immigrati italiani, come gli avi di Antonio, in cerca di fortuna oltre Manica. Il locale ricorda i bar di paese. Polledri sorride al paragone, gli piace l’idea. In fondo, spiega alternando l’inglese a un italiano che «ho imparato stando dietro al bancone», questo posto è come una comunità. Il pavimento che posò lo zio di Antonio l’hanno calpestato in tanti, non solo turisti italiani, viaggiatori in cerca di lavoro, ma anche vip e star, Francis Ford Coppola è un habituè, Kylie Minogue ci viene per assaporare il gusto dell’espresso. Quando tocchiamo il tema Brexit, Polledri sorride: «Nessuna paura – dice – certo l’economia soffrirà un po’, ma non ci sarà l’impatto sui turisti che possono godere di una sterlina più debole del 15-20 per cento rispetto a nove mesi fa». Polledri ha votato Remain, e come lui moltissimi di origini italiane che stanno a Londra. Sono tranquilli, partecipi però dei timori che albergano in molti connazionali che hanno portato armi e bagagli in Gran Bretagna negli ultimi anni.
Alberto Costa è invece un deputato conservatore, ha votato Remain, si sente europeo ma lavora per la Brexit «perché questa è la volontà popolare». Sulla terrazza di Westminster racconta di aver ricevuto tantissime chiamate di italiani disperati. «Bisogna stare calmi, non succederà nulla». Costa ha ottenuto da Theresa May un impegno perché i diritti delle migliaia di italiani (600 mila nel Regno Unito) siano salvaguardati.
La tranquillità di Costa non basta a placare quelle che più che paure sono delusioni. Barbara Fassoni, milanese 48 anni, architetto sposata con una figlia di 12 anni, ha scelto Londra due anni fa. Non è pentita ma «sento un clima di incertezza, non so cosa accadrà». «È come – si sfoga – sentirsi non più ospite gradito». Andrea Guerini rischia invece di essere un cervello doppiamente in fuga. Ha 21 anni e presiede il gruppo studentesco italiano alla London School of Economics. Originario di Crema, quando arrivò a Londra tre anni fa ebbe uno choc pazzesco. «Il Regno Unito dà chance ai giovani di essere artefici del proprio destino», dice. Lui però il futuro lo edificherà negli Stati Uniti. «Il prossimo anno sarò alla Columbia University», aggiunge. La scelta americana non è del tutto estranea alla vittoria del Leave: Andrea aveva offerte da Cambridge e Oxford e dalla stessa Lse. Ha preferito i grattacieli di New York al Tamigi. «Vedevo un vantaggio nello stare qui se Londra fosse rimasta in Europa, ma chi può dire cosa accadrà?».
Myriam Zandonini, anche lei lombarda trentenne, da 5 anni a Londra, lavora alla City dove spifferi sempre più forti narrano di banche e istituti sul piede di partenza. L’idea di tornare indietro, per Myriam, magari a Milano dove la sua società sta pensando di aprire una sede dall’anno scorso, ha messo radici. Ma c’è pure chi non ci pensa nemmeno a riporre tutto in un container e ripartire.
Devid, 27 anni, romano fa il cameriere in uno dei locali adiacenti a Covent Garden. È qui dal 2013, divide un appartamento con alcuni amici italiani. «Voglio una mia attività» dice mentre distribuisce caffè e hamburger. E la Brexit? «Qui c’è lavoro e ce ne sarà ancora, poi se qualcosa cambia me ne vado altrove, magari in Spagna o in Australia, il mio sogno». La fuga o il ritorno in patria lo toglie subito dal tavolo Alba Lamberti, 41 anni napoletana, lavora per un think tank. «Per me Londra è casa da 10 anni, i miei figli sono nati qui e sono inglesi. Io sono europea dalla testa ai piedi e non so immaginare un futuro diverso per loro». Theresa May stamane dirà ancora che il Regno Unito si sente parte dell’Europa. Non basterà a togliere l’incertezza agli italiani d’Oltremanica.