Fonte: Il Sole 24 Ore
di Nicol Degli Innocenti
LONDRA – Tre mesi dopo il cataclisma Brexit, tutto è tornato alla normalità in Gran Bretagna, almeno all’apparenza. Superato lo shock iniziale per il risultato a sorpresa del referendum del 23 giugno, non si è verificato il crollo economico che molti temevano e la fiducia resta elevata. L’accenno di pentimento collettivo di inizio luglio si è volatilizzato e gli ultimi sondaggi rivelano che gli elettori restano della loro opinione: il 52% a favore di Brexit e il 48% contrari. Il Paese resta profondamente diviso, ma chi ha votato per uscire dalla Ue è contento di averlo fatto e vorrebbe anzi un divorzio rapido. Il 23 giugno l’esito inatteso del referendum aveva scatenato una crisi politica che rischiava di degenerare anche in crisi economica, con il crollo della sterlina e il congelamento degli investimenti. Il premier David Cameron, che aveva voluto il referendum, aveva dato le dimissioni e dopo una serie di colpi di scena il partito conservatore aveva scelto Theresa May, ministro degli Interni da sei anni, come nuovo premier. Ora, tre mesi dopo il voto, vediamo gli ultimi sviluppi, la situazione nei diversi settori e le prospettive per la Gran Bretagna nei prossimi mesi.
L’economia e il rimbalzo post-Brexit
Non sarà recessione: nonostante le fosche previsioni il crollo economico non c’è stato e già si parla di “Brexit bounce”, il rimbalzo dopo il voto. I consumatori sono stati i primi a scrollarsi di dosso il pessimismo post-referendum. Le vendite al dettaglio aumentano a un ritmo annuale del 6,2% e l’Ufficio nazionale di Statistica (Ons) sottolinea che i dati “non danno alcun segnale di un calo della fiducia dei consumatori dopo Brexit.” Altrettanto positiva l’occupazione, che in estate ha raggiunto i massimi storici, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 5,9%, ben sotto la media europea del 10,1 per cento.
I temuti aumenti dei prezzi in seguito al calo della sterlina e al costo più elevato delle importazioni non si sono verificati. L’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato al +0,6% in agosto, anche se le previsioni sono di un incremento al tasso programmato del 2% e forse oltre nel 2017.
L’indebolimento della sterlina, che ha subito perso oltre il 10% del suo valore contro euro e dollaro, ha avuto un effetto positivo su diversi fronti, rilanciando le esportazioni britanniche e favorendo il turismo, che si prevede aumenti del 3,6% quest’anno. La valuta debole ha anche incoraggiato i turisti a spendere di più: nel solo mese di agosto c’è stato un aumento del 36% di acquisti da parte di stranieri, soprattutto di beni di lusso come moda, gioielli e orologi.
Il calo della sterlina ha anche sostenuto il mercato immobiliare, con molti investitori stranieri a caccia di affari soprattutto nella capitale. Per gli italiani e gli altri cittadini dell’eurozona, il prezzo medio di una casa a Londra è sceso di 50mila euro. Diversi dei fondi immobiliari che a inizio luglio avevano sospeso i riscatti per le troppe richieste di rimborso li hanno riaperti e il timore di una crisi di liquidità sembra essere passato.
Politica: Brexit significa Brexit
Le trattative ufficiali non partiranno fino all’anno prossimo e il Governo non ha rivelato la strategia negoziale, ammesso che ne abbia una. La May si è limitata a ripetere la frase sibillina “Brexit means Brexit”, ma senza chiarirne i contenuti. L’interpretazione più comune è che il volere popolare espresso dal voto verrà rispettato e non ci sarà un secondo referendum. Come ha detto la premier, la Gran Bretagna «è uscita dalla porta e non rientrerà dalla finestra». Lascerà quindi la Ue, ma non si sa come e quando.
La premier ha resistito alle pressioni sia interne che esterne che chiedevano tempi rapidi e ha detto che preferisce attendere prima di invocare l’articolo 50 e avviare trattative formali con la Ue. L’attesa potrebbe anche durare fino a dopo le elezioni tedesche del settembre 2017, anche se proprio oggi il ministro degli Esteri, Boris Johnson, si è detto convinto che l’iter inizierà nelle prime settimane del 2017. (Nel frattempo sono partiti gli incontri dietro le quinte e il nuovo ministero per l’uscita dalla Ue ha reclutato centinaia di dipendenti, tra i quali 120 persone a Bruxelles, che hanno l’arduo compito di delineare una strategia possibile che non danneggi l’economia britannica ma sia accettata dai 17 milioni di persone che hanno votato Leave.
Economia: le prospettive future
Molti economisti ritengono che il quadro positivo sia destinato a peggiorare nei prossimi mesi: non ci sarà recessione ma un rallentamento, venti contrari come un calo dell’occupazione e dei salari reali che porteranno a un calo della fiducia e quindi delle spese.
Joe Grice, chief economist dell’Ons, ha sottolineato ieri che «il risultato del referendum per ora non ha avuto un impatto rilevante, ma i dati resi noti finora sono indicatori di breve termine. L’economia non è caduta al primo ostacolo ma resta da vedere come continuerà la corsa».
La settimana prossima ci saranno due dati importanti per capire l’andamento futuro dell’economia: il primo dato sul Pil trimestrale dopo Brexit, il 27 settembre, e l’indice del settore servizi, che rappresentano oltre tre quarti dell’economia britannica, il 30 settembre.
L’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (Ocse) questa settimana ha rivisto le sue previsioni sull’economia britannica: ha ammesso che non ha subìto un danno immediato da Brexit, ma ha anche ribadito che ci sarà un rallentamento il prossimo anno. «Prevediamo che il Pil rallenti all’1% nel 2017, ben al di sotto degli ultimi anni e che ci sia una contrazione degli investimenti da parte delle imprese», ha detto l’Ocse.
«Riconosco che dovremo affrontare dei momenti difficili, ma sono fiducioso che abbiamo gli strumenti necessari per sostenere l’economia», ha risposto il cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond.
C’è particolare ansia nella City londinese, dove si teme una fuga di banche e imprese se la Gran Bretagna uscirà dal mercato unico oltre che dalla Ue. Secondo dati pubblicati ieri dalla Financial Conduct Authority, sono 5.500 le imprese finanziarie che dipendono dal passporting, che consente a qualsiasi istituto Ue di vendere prodotti e servizi in altri Paesi membri senza i costi di dover aprire e capitalizzare una filiale.
Politica: la scelta di Theresa
Chi attendeva la fine della pausa estiva per avere chiarezza sulla strategia del Governo è rimasto deluso. Per ora, a parte dichiarazioni fiduciose su un futuro radioso per la Gran Bretagna fuori dalla Ue, non ci sono state indicazioni su che tipo di divorzio Londra spera di ottenere da Bruxelles.
Il ministro responsabile dell’uscita dalla Ue, David Davis, è stato deriso dall’opposizione e anche da molti deputati Tory quando si è presentato in Parlamento e non ha dato risposte precise alle molte domande dei deputati. Davis si è limitato a dire che la Gran Bretagna negozierà «una soluzione su misura e non una pre-confezionata».
I tre Brexiter al Governo – Davis, il ministro degli Esteri Boris Johnson e il ministro del Commercio Internazionale Liam Fox – spingono per un taglio netto con Bruxelles. Hammond invece vorrebbe restare nel mercato unico e mantenere rapporti più stretti possibile con la Ue. La May resta una sfinge.
Nelle ultime settimane, voci e segnali sembrano puntare a una cosiddetta “hard Brexit”, cioè un’uscita netta. Sono nati due gruppi che fanno lobbying a favore, Change Britain (al quale ha pubblicamente aderito anche Johnson) e Leave means Leave. L’opinione pubblica sembra stanca dell’incertezza e vuole un segnale chiaro.
La ragione è una: il problema immigrazione, che ha portato gran parte dei Brexiters a votare a favore di uscire. La May, che per sei anni da ministro dell’Interno aveva tentato di porre un freno agli arrivi di stranieri in Gran Bretagna, sarebbe arrivata alla conclusione che non è possibile continuare con la libera circolazione di cittadini Ue e che se il prezzo della chiusura delle frontiere è l’uscita dal mercato unico, vale la pena pagarlo.
Le conseguenze per i cittadini Ue
La May si è finora rifiutata di garantire che i cittadini Ue che da tempo abitano e lavorano in Gran Bretagna potranno rimanere, perché vuole ottenere una garanzia simile dai Paesi europei che ospitano circa due milioni di cittadini britannici. L’aspettativa è che chi è già qui da oltre cinque anni, e ha quindi diritto di residenza, possa restare. Sembra invece sempre più probabile che in futuro i nuovi arrivi da Paesi Ue dovranno dimostrare di avere un’offerta di lavoro prima di potersi trasferire. Tutto dipende dalla posizione che Londra deciderà di adottare e dall’andamento dei negoziati con Bruxelles. Nel frattempo, però, per i 3,6 milioni di cittadini europei che vivono in Gran Bretagna regna l’incertezza.