8 Settembre 2024

Visione, attrattività e stabilità. Ma per renderlo efficace serve una strategia a lungo termine per l’Italia che vincoli anche i prossimi governi

Al termine del Summit Italia-Africa possiamo dire che il Governo ha compiuto un importante passo avanti per il consolidamento del Piano Mattei. La presenza di Ursula von der Leyen testimonia, da una parte, che la Presidenza del Consiglio ha ben in mente l’importanza di rendere l’Italia hub di una più ampia strategia europea verso l’Africa e, dall’altra parte, che il nostro Paese può godere di un’apertura di credito da parte dell’attuale Commissione anche in previsione dei nuovi equilibri post voto per il Parlamento Europeo. Positivo è stato anche l’annuncio di progetti pilota secondo una logica di pari coinvolgimento dei partner africani capace di abbandonare i vecchi approcci di cooperazione unilaterale. Lo stesso Presidente Mattarella ha sottolineato l’importanza di questo approccio citando il proverbio africano che recita: «se vuoi andare veloce corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno».
Stiamo dunque iniziando a conoscere il Piano Mattei da un punto di vista del metodo, della cornice politica e del finanziamento, ovvero 5,5 miliardi incrementali presi dal fondo italiano per il clima e da quello per la Cooperazione allo sviluppo. L’Italia si candida ad essere protagonista nei rapporti con il continente africano forte di una posizione geografica vantaggiosa e di un posizionamento diplomatico-culturale anche favorito da un passato coloniale di secondo piano e, dunque, poco ingombrante per un continente che chiede pari dignità, forte di indicatori economici e demografici in costante crescita. Questa vocazione africana era un’opportunità nei decenni scorsi. Oggi, dato il quadro globale, è una necessità. Come ha ricordato Mario Draghi al Financial Times, l’Europa ha potuto contare sugli Stati Uniti per la difesa, sulla Russia per l’energia, sulla Cina per il commercio. Questo quadro si è sfaldato e non si ricomporrà in tempi brevi, dunque guardare all’Africa è vitale.
Per farlo il Piano Mattei deve però essere uno strumento che si inserisce in una strategia capace di integrare tre elementi: visione, attrattività, stabilità. La visione è necessaria per superare il rischio di un approccio basato sulla contingenza. Con la rinuncia alle forniture russe abbiamo ovviamente dovuto cercare un’alternativa in tempi brevi e la questione energetica è diventata preminente. Lo stesso vale per la crisi delle catene del valore innescata da pandemia e conflitti. Una visione di lungo periodo ci impone però di cercare di anticipare i grandi cambiamenti, non solo di limitarne le esternalità negative. Con il Piano Mattei, l’Italia non può limitarsi a trovare partner in Africa per intervenire dove oggi ci sono pericoli per la propria sicurezza, per il proprio modello produttivo e per le proprie fragilità demografiche, ma deve avere l’ambizione di intercettare le grandi sfide di sviluppo. Una strada è quella di diventare a sua volta partner privilegiato per chiunque voglia investire in Africa. Avere un’efficace strategia economica, amministrativa e fiscale per incentivare l’attrattività dell’Italia, e in particolare per agevolarne il ruolo di hub preferenziale per gli investimenti esteri in Africa, significherebbe intercettare i capitali con maggiore propensione al rischio, ovvero quelli che generano innovazione e maggiore valore aggiunto. E a sua volta — grazie al quantum leap tecnologico di cui l’Africa beneficia — ciò potrebbe massimizzare le possibilità per il nostro Paese di giocare un ruolo nelle grandi sfide del futuro quali, ad esempio l’intelligenza artificiale, i droni, la space economy e l’idrogeno. La strategia per giocare un ruolo determinate — di cui il Paese ha bisogno a prescindere da decenni — è la creazione di un piano strutturato che renda il nostro Paese dotato di una infrastruttura competitiva. Con riferimento al Piano Mattei, questo non vuol dire solo accordi con i Paesi africani ma anche rendere l’Italia attrattiva per chi voglia investire in un hub rivolto all’Africa e al Mediterraneo. E questo vuol dire, infrastrutture (logistiche, scolastiche, digitali etc), minore burocrazia (velocità nell’ottenimento dei permessi), certezza del diritto, fiscalità favorevole sia per l’investimento, sia per la distribuzione dei proventi, e così via.
Il Governo dovrebbe inoltre valorizzare lo sforzo attivando il Sistema Paese e cioè coinvolgendo non solo le grandi multinazionali a partecipazione statale, ma anche il tessuto delle grandi e medie imprese innovative favorendone la propensione al rischio e alla creazione di alto valore aggiunto. Il Piano Mattei diventerebbe così un’opportunità di adeguamento del sistema italiano per essere competitivo su scala globale. C’è un ultimo elemento che va affrontato sia in termini generali che di strategia di partenariato con l’Africa: la stabilità dei piani, delle risorse, delle condizioni di investimento. Il Piano Mattei ha senza dubbio una sua centralità in termini di scommessa programmatica e politica, ma potrà avere efficacia solo se assumerà valenza all’interno di un piano strategico a lungo termine per l’Italia che vincoli anche i prossimi governi. Questo richiede inevitabilmente un cambio culturale nell’approccio politico (dalla tattica alla strategica, dalla reazione alla ideazione) che deve necessariamente sfociare in un piano economico-industriale per l’Italia che ancora manca. Questa può essere l’occasione perché finalmente l’Italia diventi un Paese capace di attrarre investimenti italiani e stranieri, in cui le regole siano chiare, le politiche per le imprese durature e le infrastrutture siano pensate per lo sviluppo. L’auspicio (e la necessità) è che il Piano Mattei per l’Africa inneschi finalmente l’ideazione e la realizzazione di un piano strategico per un’Italia capace di attrarre investimenti sulla base di una progettualità di lungo termine chiara e condivisa.

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