Presa la base della brigata Khan Younis, guidata dal fratello del capo di Hamas. Il fronte interno a Tel Aviv strattona il premier, e gli Usa premono perché accetti la bozza d’intesa
Sinwar sì, ma il minore. Le truppe israeliane sono riuscite a catturare la base della brigata Khan Younis guidata da Mohammed, fratello del capo di Hamas, e hanno perquisito — annunciano i portavoce dell’esercito — la sua stanza di comando dove hanno trovato mappe e documenti per la pianificazione degli assalti al Sud del Paese di quattro mesi fa. Dentro le mura del quartier generale i fondamentalisti avevano anche ricostruito i modelli dei cancelli di ingresso ai kibbutz per addestrare i terroristi agli attacchi.
Mohammed e Yahya restano nascosti nei bunker sotterranei: assieme al «fantasma» Mohammed Deif sono gli obiettivi dell’offensiva contro la cittadina che – a questa intensità – dovrebbe durare ancora una settimana. È in quelle gallerie che i leader dell’organizzazione fuori dalla Striscia dicono di aver recapitato la bozza d’intesa delineata la scorsa settimana a Parigi da americani, egiziani e dal Qatar, in questi anni sponsor finanziario e sostenitore di Hamas. Al vertice aveva partecipato anche David Barnea, il capo del Mossad israeliano, mentre i boss del gruppo hanno ricevuto il documento al Cairo e avrebbero dovuto — secondo alcuni giornali arabi — dare una risposta ieri sera. Per ora sembrano prendere tempo, un portavoce del movimento ripete: «La decisione arriverà presto». Ismail Haniyeh — ospite a Doha nei lussi offerti dal Qatar – pretende che il numero di detenuti palestinesi scarcerati in cambio degli ostaggi tenuti a Gaza sia molto più alto di quello accordato con l’intesa del novembre scorso. Soprattutto chiede che il cessate il fuoco sia da subito permanente e l’esercito si ritiri dai 363 chilometri quadrati, dove in 120 giorni di guerra i palestinesi uccisi sono oltre 27 mila.
Gli americani — rivela il tg del Canale 13 — stanno premendo su Benjamin Netanyahu perché accetti una tregua di quattro mesi a Gaza, anche perché sono sempre più preoccupati che gli scontri quotidiani con l’Hezbollah libanese — ieri molto duri — diventino conflitto totale.
La giacca blu del premier israeliano sembra strattonata anche dai ministri nel suo governo e del suo Likud: reclamano che questa volta qualunque patto per il ritorno dei sequestrati sia valutato e discusso da tutto il consiglio, non solo da quello ristretto. Queste divisioni interne – scrive il quotidiano Haaretz – farebbero però parte del gioco delle parti e sarebbero state orchestrate (per poi lasciarle trapelare) dallo stesso Netanyahu, cerca di dimostrare agli americani di non poter concedere più di tanto: «Non accetteremo qualsiasi accordo a qualsiasi prezzo», dichiara.
La spaccatura vera sarebbe con Benny Gantz, che ha lasciato l’opposizione per entrare nel gabinetto di guerra: l’ex capo di Stato Maggiore e il suo partito ripetono che gli ostaggi sono la priorità e vanno riportati a casa adesso. Gli attacchi veri a Bibi, com’è soprannominato, sono quelli degli oltranzisti messianici Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich: si oppongono alla possibile intesa, proclamano di voler mantenere il controllo sulla Striscia e ricostruire gli insediamenti evacuati da Israele nel 2005. Fino all’ultimo gli americani hanno pensato di inserire anche loro nella lista di coloni estremisti colpiti dalle sanzioni decise da Biden: ieri la banca israeliana Leumi ha congelato il conto di uno dei quattro estremisti indicati dalle misure punitive, una decisione che Smotrich ha già annunciato di voler ribaltare.