Fonte: La Stampa
di Alberto Simoni
Crolla il muro rosso, le zone del Nord dell’Inghilterra feudi rossi per tradizione e costumi passano ai conservatori
Il Regno Unito vota per la Brexit e per il cavaliere più spregiudicato e geniale, rigettando il manifesto e i timori laburisti. E lo fa in maniera netta, travolgente, tanto da far scomodare paragoni arditi in casa conservatrice. Boris Johnson, il premier che ha disarcionato Theresa May e ha puntato tutte le sue fiches sulla Brexit, da fare subito senza rinvii e tentennamenti, ha portato i Tory oltre quota 360 seggi a Westminster, 362 per la precisione mentre la notte britannica prosegue fra proclamazione, sconfitte eccellenti e pochi scossoni. Lo scossone, quello forte, è arrivato subito, ieri sera alle 10 di Greenwich quando il primo exit poll della Bbc e delle altre Tv ha impresso sugli schermi di tutto il Paese i numeri impietosi: Tory 368 seggi, Labour 191, nazionalisti scozzesi 55, Lib-dem 13, Brexit Party 0. Nella notte qualche aggiustamento, la seconda proiezione ridimensiona un po’ i numeri, Tory a 364 e Labour a 202, ma la sostanza non cambia granché. Boris si avvicina alla Thatcher che prese, record 376 deputati. I laburisti mai cosi male dal 1935. Alan Johnson, big del partito, lapidario, parla prima che l’ultima proiezione venga nota: mai avrei pensato che saremmo scesi sotto quota 200. Un seggio sopra o qualcuno sotto cambia nulla nelle dimensioni politiche della debacle.
Jeremy Corbyn è frastornato e dichiara a notte fonda che non sarà lui a guidare il Labour alle prossime elezioni. Ma non si dimetterà subito non a bocce in movimento.
Crolla il muro rosso, le zone del Nord dell’Inghilterra feudi rossi per tradizione e costumi si colorano di blu. E sarebbe persino potuta andare peggio in alcune circoscrizioni dove a togliere la vittoria ai Tory ci ha pensato il Brexit Party che ha preso migliaia di voti ma che a causa del sistema maggioritario anche questa volta resta fuori da Westminster. Il momento che consacra l’arrivo dello tsunami blu poco dopo mezzanotte quando Blyth Valley dichiara che passerà per la prima volta ai conservatori. Siamo nel nord dell’Inghilterra e si capisce che se questo distretto, mai perso dai Labour, ha abbracciato Johnson, per i conservatori sarà una notte trionfale. Crollano bastioni laburisti come Darlington, Sedgefield, Workington, la mappa del Regno Unito si colora di blu. Pochissime le conquiste Labour, Putney fa sorridere un po’ Corbyn, ma la marea non si ferma con qualche piccolo ostacolo.
Johnson vince nei luoghi laburisti del Galles. Si conferma al Sud, si riprende – più simbolico che altro – il seggio di Kensington nel cuore di Londra che i Tory persero per una ventina di voti nel 2017.
Perde il seggio Jo Swinson, leader dei lib-dem. Aveva sostenuto queste elezioni anticipate, le prime in quasi un secolo a tenersi in dicembre. Ha puntato tutto sulla retorica europeista, fortissimamente remain, ma non ha funzionato.
Nel quartier generale laburista tutti contro Corbyn, il suo errore quello di aver trasformato il voto in un secondo referendum dopo quello del 2016. Ha di fatto scelto di sfidare Johnson sul suo terreno preferito, uscendone con le ossa rotte. Boris dal canto suo ha preferito durante i due mesi di campagna elettorale evitare di scendere nei dettagli delle proposte politiche – sanità scuola, tasse, ecc. – per evitarare di dare spazio al rivale. Get Brexit Done, prima poi – il ragionamento del premier – parliamo e facciamo altro. E gli elettori lo hanno premiato. Piaccia o meno, il Regno Unito si è confermato il Paese che tre anni e mezzo fa votò Leave. Sovrapponendo la mappa elettorale di allora a questa, si trovano pochi scostamenti. Laddove vinse il via dall’Europa ieri ha vinto un conservatore.
Scozia
Hanno vinto anche i nazionalisti scozzesi, il Nord del Regno Unito è color giallo, le truppe dell’Snp hanno preso 55 seggi su 59, 20 in più del 2017, 1 un meno del record del 2015. Saranno l’opposizione, e la spina nel fianco di Johnson, consapevoli che la Brexit non verrà fatta saltare sui banchi di Westminster, ma che la stabilità e unità del Regno Unito è a rischio. Torneranno a chiedere un referendum sull’indipendenza della Scozia. Michael Gove, braccio destro di Johnson, ha già liquidato l’ipotesi non accettabile
E ora?
Johnson governerà con una maggioranza ampia come ebbe solo la Thatcher. Lunedì farà un piccolo rimpasto di governo. Procederà a tappe forzate sul cammino della Brexit ed entro venerdì 20 dicembre ci sarà l’approvazione del Withdrawal Agreement Bill. A fine gennaio 2020 l’uscita dalla Ue. Scatteranno poi 11 mesi nei quali Londra discuterà dell’accordo commerciale con Bruxelles. Michel Barnier, negoziatore Ue, ha detto che i tempi sono troppo stretti. Ma l’intenzione del premier è chiedere una volta per tutte la partita. Poi si concentrerà sugli altri temi, dalla riduzione delle tasse, alla criminalità.
Reazioni
Ha twittato Trump, congratulandosi per la vittoria dell’amico Boris. La sterlina già ai primi exit poll è schizzata rispetto al dollaro a livelli che non si vedevano dal giugno del 2018. Da Bruxelles, ormai rassegnati all’addio Uk, tirano un sospiro di sollievo per la ritrovata chiarezza politica a Londra. Un parlamento senza maggioranza e incapace di decidere su Brexit sarebbe stato una iattura e allungato ulteriormente e con danni per tutti le trattative