Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Fanco
Con Boschi, dopo Renzi, continua il processo di personalizzazione della campagna
La personalizzazione, adesso, è doppia. Non solo Matteo Renzi ma anche Maria Elena Boschi getterà la spugna se non passa il referendum sulle riforme istituzionali a ottobre. L’annuncio rilanciato ieri può apparire superfluo: nel senso che difficilmente il governo nel suo insieme sopravviverebbe alla vittoria dei «No». In più, la ministra delle riforme istituzionali ha dato il nome alla legge, dopo averla fortemente condivisa. Eppure, la sua presa di posizione segna una novità. Alzare la posta referendaria significa drammatizzare ulteriormente la consultazione quando mancano ancora quasi cinque mesi. E avvertire tutti, l’opinione pubblica come il Pd e le opposizioni, che in questa sfida chi vince prende tutto, così come chi perde esce di scena. È una logica che non prevede né compromessi né riconciliazioni; e segna a dito chiunque non la condivida. Ma così si moltiplica anche il rischio di una spaccatura che fa perdere di vista il merito del referendum. Favorisce le posizioni più estreme e faziose, da una parte e dall’altra. Porta tutti, anche al di là delle intenzioni, ad andare sopra le righe: si spiega così, probabilmente, la battuta infelice della Boschi sui «veri partigiani» che voterebbero «Sì», destinata a essere fraintesa. Se Palazzo Chigi propone al Paese un plebiscito, offre un’arma insperata ai suoi avversari. E perfino la Boschi, rischia di essere risucchiata in un dibattito avvelenato; e diventare bersaglio e parafulmine degli attacchi a Renzi. Eppure, su temi come quello della riforma della Costituzione bisognerebbe unire, non dividere. Altrimenti, l’esito può rivelarsi disastroso per tutti. La tentazione del premier e degli avversari di imporre all’Italia un clima da resa dei conti finale finirebbe per stancare; e per scoraggiare, non favorire la mobilitazione.