22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Paolo Franchi

Non sappiamo con che legge elettorale andremo a votare e da noi le forze antisistemasono due: Lega e Fratelli d’Italia e i Cinque Stelle

A spettiamo naturalmente il voto francese, mettendo in conto che la vittoria di Emmanuel Macron non è scontata. Ma prima in Olanda, poi soprattutto in Germania, nella pur piccola Saar, qualcosa è successo. In Olanda, nel primo round di una lunga contesa europea tra le sempre più agguerrite forze anti sistema e un sempre più debole establishment, il Pvv di Geert Wilders, dato incautamente per probabile vincitore, si è fermato al 13 per cento. Nella Saar, i nazional-populisti dell’Afd, quelli che avrebbero dovuto impensierire la signora Merkel nelle elezioni politiche, non vanno oltre il 6, e la cosa passa quasi inosservata, perché l’attenzione è già concentrata, oltre che sulla (vittoriosa) Cdu, sulla prima prova elettorale (non straordinaria) del candidato socialdemocratico Martin Schulz, impegnato in una rincorsa sulla Cancelliera che oggi appare molto difficile, quasi proibitiva, ma fino a poche settimane fa era impensabile. Non è il caso di archiviare in tutta fretta le previsioni secondo le quali in tutta Europa l’avanzata delle forze che sbrigativamente chiamiamo populiste si rivelerà travolgente, anzi, inarrestabile, con tutte le conseguenze (ferali) del caso; ma di sottrarsi alla vulgata fin qui imperante, per cercare piuttosto di distinguere e di ragionare, forse sì. Cominciando con il dire che, per paradosso, se il voto olandese e quello della Saar sono ancora lontani dal costituire una tendenza, il caso italiano rischia già di rappresentare qualcosa di simile a un’eccezione.

A differenza di altri Paesi d’Europa, da noi di forze antisistema ce ne sono due, una (la Lega di Matteo Salvini, Fratelli d’Italia) riconducibile alle nuove destre europee, l’altra (Cinque Stelle), più forte e restia a farsi catalogare secondo le regole della zoologia politica classica. Quello del M5S è un populismo, chiamiamolo per comodità così, di natura (non sembri una boutade) essenzialmente ideologica, che ha le sue origini nella storia nazionale recente e meno recente: un inedito impasto di rosso e di nero, nel tempo della crisi della sinistra e della destra, che tiene insieme milioni di persone delle più diverse origini sociali e politiche, accomunate in primo luogo, e non senza qualche buona ragione, dal sentirsi irrimediabilmente defraudate dai partiti e dalla politica: i Cinque Stelle sono un fenomeno tutto italiano, già quella di Podemos in Spagna è una storia diversa. Si capisce bene, quindi, perché Matteo Renzi, sin dai primi passi alla guida del Pd e del governo, abbia individuato qui il pericolo e il nemico principali, e si sia mosso di conseguenza, ma su una linea tutta particolare, senza raffronti nel resto dell’Europa, facilitato in questo dal fatto che sui partiti, a cominciare dal suo, e sulla politica tradizionali dava e ancora dà giudizio ben diverso, certo, da quello grillino, ma non meno drastico. Al populismo per così dire «dal basso» dei Cinque Stelle ha contrapposto, come si è osservato più volte, una sorta di populismo «dall’alto”» di governo, anch’esso a suo modo ideologico, fondato sulla condanna senza appello del passato, sul fastidio, e qualcosa di più, per le cosiddette élite e per le comunità intermedie, sul rapporto diretto tra il leader e il popolo. Ne avuto in cambio, per un certo periodo, vasti consensi e ampie aperture di credito, e se ne è inebriato; sbagliando, perché le cose, come è noto, hanno cominciato ad andare diversamente ben prima del referendum costituzionale.

Tutto questo è noto. Del tutto ignoto, invece, è il futuro prossimo e meno prossimo, in Italia e nel rapporto tra l’Italia e l’Europa. Il 24 settembre i tedeschi andranno a votare: Francia permettendo, molto probabilmente il loro voto sancirà la vittoria delle forze europeiste nel durissimo torneo che le oppone alle nuove destre sovraniste. E noi, che dobbiamo vedercela in primo luogo con il M5S? Noi non sappiamo nemmeno quando si voterà in Italia, magari anche lo stesso giorno, se Renzi, incoronato dalle primarie del Pd, deciderà di forzare la mano nella speranza (o nell’illusione) di prendersi la sua rivincita: in fondo, fosse stato per lui, così come per i Cinque Stelle e la Lega, a votare ci saremmo già andati. Soprattutto non sappiamo nemmeno con quale legge voteremo. Ci avevano assicurato, dopo il referendum e prima ancora della bocciatura dell’Italicum da parte della Corte costituzionale, che il Parlamento se ne sarebbe occupato a spron battuto, ma non se ne è fatto e non se ne farà nulla, tanto che torna in campo l’ipotesi (già in passato assai controversa) di rendere compatibili con una leggina o per decreto i sistemi elettorali di Camera e Senato. Chissà. Di (quasi) certo c’è solo che, in ogni caso, dopo una campagna elettorale tanto veemente quanto inconcludente, il prossimo Parlamento sarà ingovernabile, salvo improbabili e improponibili nuovi patti del Nazareno, che oltretutto difficilmente sarebbero sorretti da una maggioranza parlamentare. Un tempo la cosiddetta originalità del caso italiano affascinava (anche a sproposito) i politologi di mezzo mondo. Se ci ritrovassimo nella parte dell’eccezione, in un’Europa riuscita, nel frattempo, a passare in qualche modo la nottata, sarebbe tutta un’altra storia. Una brutta storia.

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