Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Verderami
I partiti sembrano voler eludere quanto è accaduto in Gran Bretagna con la Brexit e presentano il loro campionario di offerte straordinarie
Un anno e mezzo fa gli inglesi votarono per la Brexit convinti che così avrebbero riavuto indietro i loro soldi dall’Europa: perché questo avevano garantito i sostenitori del «leave». È finita invece che per uscire dall’Unione l’Inghilterra dovrà pagare sessanta miliardi di euro a Bruxelles. Le promesse politiche hanno spesso un «fattore di rischio» che ricade sempre sui cittadini. È sperimentato. Eppure in Italia, nell’anteprima di campagna elettorale, i partiti sembrano voler eludere il problema e già presentano il loro campionario di offerte straordinarie. Renzi propone il taglio delle aliquote Irpef, Berlusconi l’innalzamento delle pensioni minime, Salvini la flat tax al 15%, Di Maio il reddito minimo garantito.
Poco importa se il prontuario programmatico, dal valore di decine di miliardi, si scontra con la realtà di bilancio dello Stato. Tutti allestiscono la vetrina sfarzosamente illuminata, sebbene tutti siano consapevoli che il negozio rischia l’amministrazione controllata. È come se le elezioni fossero una sagra, non un momento di verità. Infatti nessun leader finora si è preso la briga di spiegare se nel suo programma ha previsto un progetto per l’abbattimento del debito pubblico, che è il principale freno alla crescita del Paese e rappresenta soprattutto una cambiale lasciata in eredità alle prossime generazioni.
Di questo non c’è traccia nei primi comizi, l’idea è che per raccogliere consensi si debba parlare solo di bonus, detrazioni e riduzione delle tasse. È la riproposizione di uno schema mediatico che fu geniale quando venne introdotto da Berlusconi nell’anno della sua discesa in campo: il sogno del «sole in tasca», l’offerta di una rivoluzione fiscale dentro la rivoluzione liberale, è stato l’architrave di un successo che gli avversari del Cavaliere prima criticarono e poi copiarono. Da allora, un’escalation di promesse ha periodicamente generato attese messianiche e cocenti ritorni alla realtà, pagati alla fine dai cittadini di tasca propria.
Ecco spiegato l’astensionismo, che i partiti tendono a interpretare in vari modi, ognuno usato come alibi per non doversi assumere la paternità del fenomeno. Se lo facessero, se riconoscessero che la disillusione di massa è la risposta rassegnata dei cittadini alle promesse irrealizzabili, non potrebbero recitare quel vecchio canovaccio, adottato ancora una volta da tutti. Indistintamente. Compreso il Movimento Cinque Stelle, che vive una fase di omologazione al sistema e inizia a essere identificato così dall’opinione pubblica, tanto è vero che in Sicilia è risultato primo alle Regionali ma non ha inciso sulla percentuale dei votanti.
Se i partiti non sembrano curarsi della «lezione inglese», gli elettori hanno compreso da tempo la «lezione italiana»: temendo di dover pagare le promesse dei politici, da anni in molti non si recano alle urne. Perciò è incredibile come ogni leader si proponga di riportare al voto i cittadini annunciando progetti faraonici, che sono invece il principale fattore del distacco. Sotto questo aspetto non c’entra nulla il derby tra «rigoristi» e «sviluppisti», la polemica sull’Europa soffocata dai parametri e dai tecnocrati. C’entra la sostenibilità dei programmi. E in tal senso gli elettori sono vaccinati.
I cittadini siciliani, per esempio, dopo la vittoria del centro-destra non si aspettano biglietti aerei gratis per il ritorno nell’isola, che pure gli sono stati promessi. Così come i cittadini romani, dopo l’avvento dei grillini in Campidoglio, non hanno mai pensato si realizzasse il taglio dell’elefantiaca pianta organica comunale. Allo stesso modo, a livello nazionale, c’è la percezione che i futuri bonus appena promessi dal Pd siano di fatto già stati assorbiti dall’aumento silenzioso e costante della benzina.
Il rischio è che gli elettori finiscano per non credere più a nulla, mischiando quanto davvero è stato fatto con le promesse, con «gli asini che volano», a cui nemmeno i bambini credono, figurarsi gli adulti che li vedono volteggiare ogni qualvolta si avvicinano le urne. In questo contesto si capisce perché Gentiloni abbia fatto breccia nell’opinione pubblica, con la formula del «si fa quel che si può e quel che si può si fa». Peccato che tra le cose rimandate dal governo ci siano anche le clausole di salvaguardia sottoscritte con l’Europa, 15 miliardi di tasse a garanzia del risanamento ereditate dal passato e che scadranno nel 2019. Nell’anteprima di campagna elettorale i partiti hanno ignorato il problema. Tanto i cittadini già lo sanno.