Tra «verità vere» e «verità false»,Trump fa risuonare in noi sempre la stessa corda di scontento e orgoglio ferito, frustrazione, senso di peggioramento e senso di assedio
Donald Trump ha annunciato che renderà Gaza «la riviera del Medio Oriente». Pochi giorni prima aveva firmato un ordine esecutivo per «ristabilire la verità biologica» negli spazi pubblici e perfino nelle pubblicazioni scientifiche, corredato da un prontuario che stabilisce una volta per tutte cosa sono un maschio, una femmina, un sesso e così via.
Nel frattempo, Elon Musk aizzava gli elettori tedeschi a smetterla di guardare al loro passato novecentesco con un senso di colpa e a mostrarsene invece fieri (votando AfD). Ha lanciato una campagna per rendere di nuovo l’Europa «grande» (grande come quando? e di che Europa sta parlando?), ha invitato noi italiani a opporci alla magistratura per proteggere il confine dall’invasione in corso.
La varietà dei rovesciamenti annunciati o già in atto da parte del nuovo governo americano fa girare la testa. Eppure, a guardarli meglio, l’assunzione fondamentale è sempre la stessa: esiste una verità vera, nascosta sotto la superficie delle verità false, lo sappiamo tutti ma solo noi, finalmente, abbiamo il coraggio di mostrarvela.
Le verità false sono quelle che ci vengono propinate. Quelle a cui ci adeguiamo per buona educazione, per conformismo. Portano a innumerevoli contraddizioni e comprendono concetti scomodi come l’inclusione, il linguaggio non violento, tutto l’apparato ideologico woke. Sono le verità del sistema. L’ipocrisia.
La verità vera, al contrario, è una nota bassa e continua, parecchie ottave al di sotto del suono del mondo. È unica e coerente. Non sappiamo descriverla bene a parole ma la «sentiamo». È da qualche parte dentro di noi. Ci sussurra che gli stranieri sono sul serio la causa della frattura sociale. Che l’inclusione è una forzatura. Che non è il caso di dare tutto questo peso alle definizioni. Che i generi in fin dei conti sono proprio due. Che la soluzione alla questione mediorientale esiste, solo che nessuno ha avuto il fegato di applicarla, idem per l’Ucraina.
La verità vera è «biologica», preverbale, ferina. È complottista come complottista è ognuno di noi, per natura. Soprattutto appartiene al popolo: un sondaggio recente del «New York Times» ha mostrato che «molti americani che altrimenti disprezzano Donald J. Trump condividono la sua valutazione desolante sui problemi del Paese e sostengono alcune delle sue sprezzanti ricette per risolverli». Una nota bassa, sì, come una volta si diceva degli istinti. Che questa verità vera sia un’invenzione, anzi una manipolazione è solo un dettaglio. Questo è il suo momento d’oro.
L’articolo più rilevante scritto sull’epoca corrente è forse un editoriale breve e asciutto, privo di firma individuale, pubblicato su «Lancet» il 18 gennaio. Si concentra sulla sanità negli anni postpandemici, ma il ragionamento che propone è ormai trasferibile a ogni ambito, al funzionamento stesso del nostro vivere postpandemico, in democrazie liberali in piena crisi d’identità.
Dice così: «Il contenuto fuorviante dei social media pervade l’informazione sulla prevenzione e il trattamento dei tumori; può portare i pazienti ad abbandonare trattamenti con basi scientifiche in favore di alternative sponsorizzate dagli influencer; minimizza la gravità di certe condizioni di salute mentale; incoraggia l’uso di integratori non regolamentati che promettono di funzionare per tutto, dalla perdita di peso al ringiovanimento. La disinformazione è diventata uno strumento deliberato per attaccare e screditare gli scienziati e i professionisti della salute per scopi politici. Gli effetti sono distruttivi e dannosi per la salute pubblica. Gli individui di oggi sono costretti a navigare in un miscuglio complesso di realtà e finzione».
Donald Trump e tutti i leader che gli assomigliano fanno risuonare in noi sempre la stessa corda — di scontento e orgoglio ferito, di frustrazione, di senso di peggioramento e senso di assedio —, una corda che oggi esiste in ogni nazione del mondo, che esiste in ognuno di noi, e vibra da anni. La differenza rispetto agli altri, e rispetto al suo primo mandato, è che ormai Donald Trump prende quella corda a martellate e contemporaneamente strappa tutte le altre. In nome della verità che lui stabilisce vera, sulla biologia o sulle migrazioni, sulla questione climatica o mediorientale, la sinfonia complessa e spesso dissonante del mondo si sta riducendo a un’unica nota. Istintuale. Greve. Antiscientifica.
Ho questa idea: che alcuni passaggi storici cruciali non possono essere spiegati in modo esaustivo dalla geopolitica, dall’economia o dalle scienze sociali. Richiedono anche altro, un balzo di immaginazione, la psicanalisi e il mito. Jung seppe riconoscere e descrivere la marea montante del nazionalsocialismo in Germania come un impossessamento collettivo da parte del dio Odino, signore delle guerre, possente, che avrebbe condotto il suo popolo alla vittoria (non è un caso che le destre attuali cerchino spesso le loro radici ideologiche in un paganesimo affine).
Trump stesso si è dato un’investitura divina, nel discorso di insediamento ha dichiarato: «Sono stato salvato da Dio per rendere di nuovo grande l’America». Ma quale divinità incarna esattamente? Che forza si è impossessata di noi prima del suo ritorno? Non sono abbastanza ferrato in materia, servono degli esperti per questo, e io li invoco. A loro chiedo: esiste una divinità intrigante, che ti sussurra che tutto è un imbroglio, e mentre lo fa ti sta imbrogliando? Il dio della disinformazione.
Riconoscere di che dio stiamo parlando, saperlo nominare è il primo passo necessario. In Italia non comprendiamo ancora le proporzioni che il fenomeno della disinformazione ha preso in America, quanto è pervasivo il «miscuglio complesso di realtà e finzione», che peso ha avuto nell’esito elettorale. Non arriveremo a contrastarlo dalla via politica, aspettando pazientemente il meccanismo elettorale, non stavolta. Troppo forte il vento che soffia in direzione contraria. La ragione viene spazzata via come niente dal vento messianico, per opporsi serve uno spirito nuovo. E forse è proprio dall’Europa «grande» che dovrebbe soffiare questo spirito, oltre l’oceano, oltre i dazi: il vento di una verità autenticamente vera.