Fonte: La Stampa
di Gianni Riotta
Per alcuni intellettuali è «fascista», ma la sua base elettorale è la stessa di Reagan
Per celebrare la clamorosa vittoria nelle primarie repubblicane del South Carolina, l’imprenditore Donald Trump sfoggia sul palco l’intera famiglia. La terza moglie, Melania Knauss, ex modella slovena, sposata nel 2005 dopo la sciatrice cecoslovacca Ivana Zelníckovà (in amore niente stop all’emigrazione) e l’attricetta Marla Maples.
C’è la figlia Ivanka, incinta, cui Trump carezza il pancione, si alternano i maschi, Donald jr e Eric, fotografati a caccia per sedurre i patiti delle armi, la bionda ventenne Tiffany Trump, mentre Barron, 9 anni, va a scuola. Lampi di chirurgia plastica, sorrisi stampati, abiti della collezione Donald&Ivanka, cravatte caleidoscopio, colori stridenti come slogan al microfono.
Il kitsch è chiave importante per capire Trump, ora in testa nella corsa repubblicana alla Casa Bianca dopo il ritiro del favorito Jeb Bush, che twitta «Perdonami mamma» per l’ilarità dei trumpiani. Lo scrittore Milan Kundera insegnava, ma gli analisti chic lo dimenticano, che il kitsch è arma formidabile di potere: tanti detestano la «volgarità» di Trump, che invece per gli americani semplici, privati di lavoro e status dalla crisi, è miraggio di lusso, benessere, fama.
Gli intellettuali sofisticati non comprendono Trump (ai nostri, del resto, servirono 20 anni prima di analizzare con lucidità il consenso di Berlusconi), i neoconservatori colti, Max Boot e William Kristol, si ostinano a definirlo «fascista», perché, chiusi nei party con chardonnay gelato e tartine al brie, o nei college con gli esami su «Robot, zombie, ninfomani e la scomparsa della classe operaia», non ascoltano chi all’università non va, costa 60.000 dollari l’anno e la banca non concede prestiti a disoccupati e precari al minimo salariale (7,25 dollari l’ora, ora parecchi Stati pensano a portarlo a 15).
Trump non è fascista, gli mancano strategia e volontà di occupare, con violenza, il potere statale, la manovra delineata nel 1931 da Curzio Malaparte in «Tecnica del colpo di Stato» (Adelphi). Non vuole che gli americani marcino a passo dell’oca, come ne «La svastica sul sole», romanzo di Philip Dick con gli Usa sconfitti nella Seconda guerra mondiale da tedeschi e giapponesi, ora successo tv via Amazon, Hitler incombente dal neon di Times Square a New York.
In South Carolina il 42% degli elettori «blue collar», tute blu, la vecchia classe operaia di Marx, ha votato per Trump, che propone muri contro l’emigrazione, deportazione per i 13 milioni di emigranti illegali, esecuzione dei terroristi islamici «con pallottole bagnate di sangue di porco», dazi contro Cina, Messico, India. Anche tra i «repubblicani moderati» e gli evangelici Trump stravince: è la base che portò alla Casa Bianca Ronald Reagan, 1980 e 1984, lavoratori senza laurea, allora protetti da spesa pubblica e investimenti nella difesa, oggi piagati da globalizzazione e tecnologia, maschi bianchi, religiosi.
Gli ultimi anni del presidente Obama, chiuso su se stesso, in rotta col Congresso conservatore, attento a riforma sanitaria, Cuba, Iran, accordo sul clima, ma dimentico del malessere dei ceti bianchi impoveriti, hanno nascosto una rivolta che i buoni sentimenti di Spielberg e Tom Hanks a Hollywood non colgono. Obama snobba i funerali del giudice della Corte Suprema Nino Scalia, idolo della destra, mandando il vice Biden, scortesia istituzionale che, alla vigilia della battaglia per nominare il nuovo giudice, offende i repubblicani.
Nelle due Americhe rivali, chi guarda in tv i comici progressisti, Colbert, Jon Stewart, detesta Trump. Ma chi si appassiona al reality show sulla famiglia dai decolleté generosi e dal lusso decadente del clan Kardashian vota felice «The Donald». Washington, terrorizzata, spera che, eliminati i moderati Bush e Christie, si convinca al ritiro anche il pragmatico governatore Kasich, per poi scegliere tra il conservatore Cruz, inviso ai notabili, e il giovane Marco Rubio. Isolato, Trump andrebbe alle corde, ma il piano funziona solo sulla carta e nessuno butta la spugna. Il punto debole di Trump restano gli elettori borghesi e laureati, che ne applaudono sì la retorica violenta, ma poi son scettici possa battere davvero Hillary Clinton, tartaruga contro la lepre socialista Sanders.
Gli studiosi di Big Data Nate Silver e Nate Cohn stimano che Trump sarà stritolato a partire dal Super Tuesday del primo marzo, col voto in 16 stati liberal o moderati, urbani, multietnici. Può darsi, ma il suo impatto sull’America – parallelo al populismo di sinistra di Bernie Sanders – è già irreversibile: il fascino di Obama ha nascosto la rabbia gutturale di chi è stufo di perdere, a casa e nel mondo, e si illude con Trump di «tornare grande». Chiunque arrivi alla Casa Bianca, Clinton, Rubio, Cruz, dovrà fare i conti con questa folla infelice e se invece, a sorpresa, vincessero Trump o Sanders, sarà bene allacciare le cinture di sicurezza.