Fonte: La Repubblica
di Anna Lombardi
Il discorso del presidente americano sullo Stato dell’Unione che ha rivolto al Congresso Usa. “Questo è il nostro Nuovo momento americano. Sto allungando una mano aperta per lavorare con i membri di entrambi i partiti”
“Questo è il nuovo momento americano. Non c’è mai stato un momento migliore per vivere l’American Dream”. È all’insegna dell’ottimismo a stelle e strisce il primo Stato dell’Unione pronunciato da Donald Trump, il tradizionale discorso con cui i presidenti americani fanno il punto sulle condizioni del Paese e tracciano l’agenda a venire davanti al Congresso a sezioni unificate. “Lo stato dell’Unione è solido. L’America è solida. L’America è forte come non è stata mai”. Disoccupazione ai minimi, record di Wall Street e quella riforma delle tasse varata poco prima di Natale: il presidente passa subito al sodo “Da quando abbiamo introdotto i tagli fiscali già 3 milioni di lavoratori hanno ottenuto i loro bonus. E per alcuni si tratta di diverse migliaia di dollari”
Cravatta azzurra e abito scuro, Donald Trump lascia la Casa Bianca alle 8.45 di sera con i fogli del discorso stretti in mano: solo, notano i reporter dei maggiori canali tv. Melania dunque ancora arrabbiata per la storiaccia della pornostar Stormy Daniels con cui suo marito avrebbe avuto una storia mentre lei partoriva. Grande assente a Davos, la first lady fa il suo ingresso in Campidoglio dopo i giudici della Corte Suprema e subito prima dei membri del governo. Il volto è radioso, scintillante in un pantsuit che a molti non sfugge: fu la divisa di Hillary Clinton. Bianco: come il bianco della bandiera. Ma anche come il colore delle suffraggette. O semplicemente bianco “Melania” per distinguersi dalle senatrici democratiche vestite di nero come le attrici dei Golden Globes, per protesta contro un presidente accusato, pure, di molestie.
“Stiamo costruendo un’America forte, solida e sicura”. Donald Trump sale sullo scranno del Congresso, il vicepresidente Mike Pence e lo speaker Paul Ryan alle spalle, quando a Washington le nove sono appena passate da otto minuti. Applaude anche lui prima di iniziare quello che tecnicamente è il suo primo discorso dello Stato dell’Unione, visto che quando pronunciò quello dell’anno scorso era in carica da soli 40 giorni ed era solo una dichiarazione d’intenti. Anche all’epoca giocò la carta dell’ottimismo dicendo che “ciò che non funziona potrà essere aggiustato”: sorprendendo tutti a pochi giorni dal discorso inaugurale dove aveva invece parlato di “carneficina americana”. Salvo poi rovinare il messaggio twittando, poche ore dopo aver quelle sagge parole, contro il predecessore Barack Obama accusato di intercettazioni illegali.
Per l’occasione The Donald ha preso appunti per mesi: mandando centinaia di frasi, nomi e spunti allo staff che ha poi scritto la stesura finale, cercando di dare un’impronta da statista gentile: che invita fin dalle prime battute all’unità. “Abbiamo affrontato fiamme e uragani: dimostrato l’acciaio della nostra spina dorsale”, esordisce il presidente introducendo il primo dei suoi ospiti, una donna della guardia costiera che durante l’uragano Harvey ha salvato decine di vite. Lancia così il primo dei molti ramo d’ulivo tesi ai democratici: “Non possiamo unirci solo in occasione delle tragedie” dice mentre le telecamere inquadrano l’ex speaker del Congresso, Nancy Pelosi, impassibile nel suo abito nero. The Donald insiste: “Nessuno è determinato quanto noi americani: se c’è una opportunità la prendiamo. Per questo stasera, voglio parlare del tipo di futuro che avremo, del tipo di nazione che saremo. Noi, insieme, una squadra, un popolo, una famiglia americana”.
L’invito a essere uniti però stride con l’immagine concreta di mezza sala che dedica una standing ovation ad ogni frase di Trump e l’altra che resta ostinatamente seduta in silenzio, specchio di un Congresso più diviso che mai. Che nonostante i tre giorni di shutdown è ben lungi dal trovare un accordo sulla questione dei dreamers, i giovani clandestini portati in America da bambini a cui The Donald ora offre cittadinanza, sì, ma in cambio di 25 milioni di dollari per costruire il muro promesso in campagna elettorale.
“Colmeremo le divisioni partigiane nel secondo anno di presidenza” insiste il presidente. Che pure sa bene che con l’indagine sul Russiagate sul tavolo, l’anno delle elezioni di midterm sarà politicamente cattivissimo. Eppure insiste: “Insieme democratici e repubblicani, proteggeremo i nostri cittadini, di ogni background, di ogni fede e colore”.
L’economia innanzi tutto: la riforma che rilancia l’industria – cita Apple, cita Chrysler. E dopo le aziende, le infrastrutture: “L’America è una nazione di costruttori: abbiamo elevato l’Empires State Building in un anno: non possiamo mettercene dieci per fare una strada”. L’atmosfera è un crescendo: il discorso continuamente interrotto dagli applausi che ormai anche lui dedica apertamente a sé stesso parlando di energia: “è finita la guerra al carbone americano bello e pulito”. E poi di fede (“difenderemo il secondo emendamento e la libertà religiosa”), di carceri (“daremo una seconda chance”) di istruzione (“faremo scuole di vocazione”) di sanità (“estenderemo il diritto alla cura dei malati terminali, abbasseremo il prezzo dei farmaci”).
Finalmente parla d’immigrazione: “Siamo una nazione che ha compassione e ha sempre aiutato il mondo. Ma come presidente la mia lealtà è per le comunità dimenticate d’America. È per i poveri dimenticati d’America”. In pratica chiede al Congresso la proposta messa sul banco: cittadinanza a 1,8 milioni di clandestini in cambio di 25 miliardi di dollari per erigere il muro: “Il mio dovere è proteggere il sogno americano. Perché gli americani sono dreamers anche loro”. Sognatori, sì: come i ragazzi che molti democratici hanno deciso di portare con loro, sfidando le minacce del repubblicano Paul Gosar che su Twitter chiede alla polizia di arrestare gli illegali al Congresso.
Eccola l’America Great Again di Trump, il mondo nuovo che guarda al passato: “Dividiamo tutti la stessa casa, lo stesso destino, la stessa bandiera. Riscopriamo i nostri valori, il modello è in god we trust. E quell’inno che onoriamo in piedi” dice senza perdere l’occasione di assestare una stoccata, a tre giorni dal Superbowl, a quegli atleti che così protestavano contro la violenza sugli afroamericani da parte della polizia.
E pazienza se i rapporti con il resto del mondo sono invece sempre più complicati: “autocompiacimento e concessioni invitano all’aggressione e alla provocazione. Non ripeterò gli errori delle passate amministrazioni” dice, annunciando che manterrà aperto Guantanamo. E facendo un breve cenno alle ambizioni nucleari della Corea del Nord e parlando di Cina e Russia come “rivali che sfidano i nostri interessi, i nostri valori e la nostra economia”. Proprio nel giorno in cui però l’amministrazione annuncia che non ci saranno nuove sanzioni.
Il discorso è lungo, lunghissimo: dura 1 ora e venti. Ed è ancora parlando di sogni e sognatori che finalmente conclude: “La gente ha sognato questo paese, lo ha costruito e ora sta rifacendo l’America grande di nuovo”. Il discorso sullo Stato dell’Unione del presidente americano Donald Trump è stato il più twittato della storia. Ad annunciare il record è proprio Twitter che ha rilevato come il discorso di quest’anno abbia oltrepassato addirittura prima della conclusione i 3 milioni di tweet. I momenti più twittati sono stati tre. Al primo posto il riferimento ad alzarsi orgogliosamente durante l’inno nazionale, al secondo il tema della riforma del sistema di immigrazione, al terzo la citazione della gang criminale MS-13.