Fonte: La Repubblica
di Federico Rampini
Il presidente pensa a passaggi soft, senza il ripristino delle sanzioni e pronto a un nuovo negoziato. L’amministrazione però si spacca
Il presidente degli Stati Uniti si avvia a ripudiare l’accordo nucleare con l’Iran che era stato firmato dall’amministrazione Obama (oltre che da altre cinque nazioni). In un incontro con i capi militari alla Casa Bianca, Donald Trump ha affermato che l’Iran ha violato lo “spirito dell’accordo”: si tratta, ha detto di “un regime che appoggia il terrorismo ed esporta violenza, spargimenti di sangue e caos nel Medio Oriente”. Per questo, ha spiegato, “non possiamo concedergli armi nucleari”.
Il Washington Post anticipa il primo passo verso la disdetta dell’accordo: entro la scadenza prevista del 15 ottobre, Trump “de-certificherà” di fronte al Congresso quell’accordo. E’ il passaggio formale che prelude alla disdetta, anche se formalmente lascia la responsabilità finale ai parlamentari.
L’esecutivo infatti è tenuto periodicamente a fornire al Congresso la sua valutazione sul rispetto da parte dell’Iran degli impegni presi. Nel momento in cui la Casa Bianca annuncia ai parlamentari che Teheran non sta rispettando le promesse, con ogni probabilità la maggioranza repubblicana avvierà la disdetta. Si tratterebbe in un certo senso di una “disdetta morbida”, sempre stando alle anticipazioni del Post. Anzitutto perché Trump lascerà aperta la porta ad un rinegoziato dell’accordo stesso. Poi perché nel “de-certificarlo” la Casa Bianca non chiederebbe al Congresso di ripristinare quelle sanzioni che erano state sospese alla firma dell’accordo stesso.
Il passaggio della de-certificazione entro il 15 ottobre apre comunque uno scenario denso di incognite. A cominciare dalle reazioni degli altri firmatari tra cui figurano Russia, Cina, Germania, Inghilterra e Francia. Rinegoziare un accordo non è una decisione unilaterale che Washington può prendere da sola. Poi, soprattutto, come reagirà l’Iran? Trump vuol essere fedele a quanto disse in campagna elettorale, quando denunciò ripetutamente l’accordo firmato da Barack Obama come “pessimo, uno dei peggiori della storia, contrario, agli interessi degli Stati Uniti”.
In questo allineandosi con la posizione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ma anche dell’Arabia saudita, altro partner privilegiato di questa Amministrazione. Però all’interno della Casa Bianca il dibattito è stato molto serrato. Non solo il segretario di Stato Rex Tillerson, sempre meno influente, ma anche il segretario alla Difesa John Mattis, si erano battuti per il mantenimento dell’intesa. Anche alla luce della crisi nordcoreana: visto quel che fa Pyongyang, perfino i falchi del Pentagono si sono convinti che sia meglio tenere l’Iran dentro l’accordo che congela almeno per un decennio i suoi piani nucleari a scopo militare.
Per quanto Trump scarichi la questione sulle spalle del Congresso, i rapporti di forze in quella sede non sembrano lasciare adito a dubbi: nella maggioranza parlamentare repubblicana ha sempre avuto ampi consensi la posizione di Netanyahu contro quell’accordo.