22 Novembre 2024
Erdogan

Erdogan

Probabilmente la partita verrà decisa nel ballottaggio del 28 maggio

Recep Tayyip Erdogan non ha ancora perso. Ma per la prima volta nei suoi vent’anni di potere quasi assoluto, il «Sultano» è andato a un’elezione non da favorito, bensì in ritardo dietro il suo sfidante Kemal Kiliçdaroglu, il primo a fare l’impresa di unire sul suo nome l’intera opposizione, la cosiddetta Tavola dei Sei. Se non è già una sconfitta, è il segnale di un’egemonia che ha fatto il suo tempo e ha già iniziato il suo ultimo atto.
Tutto si decide sul filo di lana. A scrutinio quasi completato l’esito più probabile sembrava che nessuno dei duellanti avesse ottenuto la maggioranza assoluta: la partita verrà decisa nel ballottaggio del 28 maggio. Ma non c’è alcun dubbio, tuttavia su quale sia il desiderio di noi europei e soprattutto dell’Amministrazione americana: entrambi saremmo ben felici di vedere Erdogan sconfitto democraticamente nelle urne.
Ci sono molte ragioni per desiderarlo. Per dirla con l’ex premier svedese Carl Bildt, tutti «vorremmo avere a che fare con una Turchia più facile». Un Paese della Nato, che non blocchi l’adesione della Svezia, non si lanci in avventure militari come in Siria e non faccia più da stampella alla Russia evitando di applicare le sanzioni e offrendole un mercato per il suo gas e petrolio o fungendo da partner commerciale e cliente militare. E un Paese che non perseguiti più gli oppositori, rispetti la libertà di espressione e sia finalmente una piena democrazia.
Ma non tutto è come appare. Per motivi diversi e contraddittori. In questi anni, infatti, accanto all’uomo forte e al suo progetto neo-ottomano, al satrapo irascibile e sempre pronto all’assalto verbale contro l’Occidente, c’è stato anche un altro Erdogan, leader pragmatico e affidabile grazie al quale gli europei hanno potuto evitare che altri milioni di profughi siriani si mettessero in marcia verso i loro confini. O quello che ha mediato con Putin un accordo sul grano ucraino, che sta probabilmente evitando sofferenze a milioni di persone in molti Paesi del mondo. Il termine «transactional», transazionale, è spesso usato per questi rapporti, dove vige il do ut des su temi di reciproco interesse, ma quelli controversi restano irrisolti.
E c’è poi anche un’altra ragione per la quale, come nel celebre adagio, gli europei «devono stare attenti a quello che desiderano, perché potrebbero ottenerlo». Erdogan al potere e la sua deriva autoritaria hanno infatti costituito finora l’alibi perfetto perché l’Ue mettesse da parte l’irrisolvibile rebus dei negoziati di adesione della Turchia, evitando ogni discussione significativa.
Certo la sua uscita di scena, un pensiero quasi surreale, avrebbe un forte valore simbolico, non solo per la Turchia, che vedrebbe la rivincita della democrazia. Sarebbe anche una sconfitta del populismo e del mito dell’uomo forte, con risonanza globale. Ma su cosa significherebbe in termini concreti, non bisogna farsi troppe illusioni, né immaginare che tutto diventerebbe più semplice nei rapporti con Ankara.
Kemal Kiliçdaroglu e la sua composita alleanza hanno promesso chiaramente di voler migliorare i rapporti con l’Occidente e in particolare con l’Europa. La sua Turchia potrebbe togliere subito il veto all’ingresso della Svezia nella Nato e rafforzare lo Stato di diritto. Kiliçdaroglu dice di voler rispettare l’ingiunzione della Corte europea dei diritti dell’uomo, liberando il paladino dei diritti civili Osman Kavala e la leader curda Selahattin Demirtas e chiudendo la procedura di esclusione di Ankara dal Consiglio d’Europa.
La parte difficile verrebbe dopo. Intanto perché Kiliçdaroglu non cambierebbe di un’acca la politica turca verso la Grecia e Cipro e vuole sottoporre a verifica l’accordo sui rifugiati firmato nel 2016. E poi perché, una volta smantellata la carcassa autoritaria di Erdogan, vorrebbe dall’Ue risposte finora eluse: potranno i cittadini turchi entrarvi senza visto, come lui ha promesso ai suoi elettori. E soprattutto: come vede l’Europa il futuro dei rapporti con Ankara? Esiste ancora una prospettiva europea per la Turchia? La vittoria di Kiliçdaroglu potrebbe segnare un nuovo inizio. Ma il condizionale non dipende soltanto da lui.

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