21 Novembre 2024

Si profila una vittoria per il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan con 6 punti di vantaggio sul rivale Kilicdaroglu

Non è certo stato un plebiscito. Tutt’altro. Ma Recep Tayyip Erdogan sarà ancora presidente della Turchia. Per altri cinque anni. Il presidente uscente, 69 anni, è stato riconfermato con uno scarto di circa quattro punti percentuali (52,1% contro il 47,9% ottenuto dallo sfidante, Kemal Kiliçdaroğlu, 74 anni ).

Dunque, sostanzialmente in linea a quanto prevedevano i sondaggi. Erdogan si conferma così lo statista più longevo nella storia della Repubblica turca. È il suo terzo mandato da presidente (dal 2003 al 2014 è stato primo ministro quando però la Turchia era ancora una repubblica parlamentare). Nemmeno Kemal Ataturk, il fondatore della patria, aveva guidato il Paese così a lungo.

La vittoria di Erdogan acquista un alto valore simbolico soprattutto perché avviene nell’anno in cui si celebra il centenario dalla fondazione della Repubblica. E perché conferma che lo zoccolo duro del suo elettorato, ubicato nell’Anatolia e sulla costa del Mar Nero, ha riconfermato il presidente nonostante la grave crisi economica in corso da quattro anni, esacerbata da un’inflazione galoppante che ha eroso il potere di acquisto delle famiglie.

E che getta un’ombra inquietante sul periodo post-elettorale, quando tutti i nodi – economici – verranno al pettine. Diversi elettori che hanno riconfermato Erdogan riconoscono al loro Rais (capo), così come lo definiscono, il merito di aver fatto crescere l’economia turca ed aver tirato fuori milioni di turchi dalla povertà. Insomma, di esser grati per quanto fatto in passato.Fuori dal seggio del quartiere di Aksaray, sulla sponda europea di Istanbul, Ayva, 50 anni, è l’emblema di questa fetta di fedeli elettori che hanno contribuito alla vittoria di Erdogan nonostante la crisi. «Negli ultimi venti anni siamo diventati comunque più ricchi grazie a Erdogan – ci spiega avvolta nella veste grigie che la ricopre dal capo ai piedi -. E’ cresciuto il benessere collettivo, è cresciuto il benessere spirituale. Stiamo meglio nonostante le difficoltà di oggi. Sono sicura che le cose andranno meglio».

Certo, durante il suo “Regno” Erdogan ha premuto sulla crescita ad ogni costo. Senza curarsi troppo dei pesanti effetti collaterali. Il pil pro-capite è passato dai circa 3.600 dollari del 2003, quando divenne primo ministro, ad oltre 10mila dieci anni dopo. Il conto, tuttavia, da pagare è stato molto salato. L’economia si è surriscaldata. L’inflazione si è gonfiata toccando l’84,5% lo scorso autunno, per poi scendere al 45% in queste settimane. La Lira ha accusato negli ultimi quattro anni una pesante svalutazione sul dollaro. I conti pubblici sono peggiorati in modo preoccupante.

«Ringrazio ogni cittadino della nostra nazione per avermi affidato la responsabilità di governare per i prossimi cinque anni ancora una volta questo Paese», ha affermato un raggiante Erdogan circa tre ore dopo la chiusura dei seggi . Il presidente turco non ha resistito alla tentazione di prendere in giro lo sfidante. «Ciao ciao, Kemal» ha ironizzato sul palco, mentre i sostenitori fischiavano. «L’unico vincitore oggi è la Turchia», ha concluso. Quella di Erdogan è comunque stata una vittoria prevedibile e prevista, non un trionfo. A Kiliçdaroğlu, il leader del Partito repubblicano (Chp), resta la consolazione di esser stato il solo sfidante che ha costretto Erdogan al turno di ballottaggio.

La sua svolta populista durante la campagna elettorale delle ultime due settimane non sembra tuttavia aver pagato. Fuori dai seggi, sul volto dei suoi sostenitori si intuiva un’espressione quasi malinconica. In tanti ci avevano creduto al primo turno. Al ballottaggio erano consapevoli che sarebbe stata dura. «Sarà davvero molto difficile – confidava Kemal, 65 anni, pensionato – ma sperare è doveroso. Se dovesse vincere Erdogan, economicamente sarebbe davvero finita».«Ci toccheranno tempi durissimi – si è lamentato Hussein, 23 anni, tecnico sanitario – Io non ce la faccio con il mio stipendio. Ho votato Kiliçdaroğlu non perché mi piaccia particolarmente, ma non voglio più Erdogan. Avrei votato chiunque si fosse candidato per sfidarlo».

Anche questa volta, gli elettori turchi hanno comunque dato una grande prova di democrazia. L’affluenza ha superato l’85%, secondo i dati diffusi dalla tv di Stato Trt. In lieve calo rispetto al record raggiunto al primo turno delle presidenziali, quando aveva sfiorato il 90%, ma ancora molto alta.
Al di là dell’entusiasmo per la vittoria, l’avvio del terzo decennio al potere non sarà affatto semplice, né facile. Quella di Erdogan somiglia ad una vittoria di Pirro, puntualizzano i suoi rivali . Dovrà governare gestendo una crisi economica e finanziaria che rischia solo di peggiorare.

«Se vince Erdogan non mi resta che lasciare il Paese ed andare ad abitare all’estero», ha confidato Fazil, studente universitario, nel distretto centrale, e laico, di Beyoğlu . Diversi giovani delusi dicono di pensarla così. L’estero, appunto. Per far uscire dalla crisi la Turchia, Erdogan sa bene che la fiducia dei mercati e degli investitori internazionali è molto importante. La sua poco ortodossa politica monetaria – abbassare i tassi di interesse per combattere l’inflazione – ha sortito l’effetto contrario. Portando ad una pesante svalutazione della Lira. Se sarà coerente con quanto detto in campagna elettorale, ovvero di voler mantenere i tassi di interesse bassi, difficilmente otterrà la fiducia da parte di chi non l’aveva accordato prima. In un contesto di questo tipo, gli indispensabili flussi di capitale straniero, in valuta pregiata, rischiano di arrivare tardi. Col contagocce.

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