22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Erdogan turchia

di Franco Venturini

La Turchia delle troppe parti in commedia, ancora. Il turismo internazionale che non deve più portare sollievo economico, ancora. Gli obbiettivi del terrorismo seguono ormai la logica della disgregazione globale, rispondono a strategie non uniche e talvolta nemmeno amiche ma che si scoprono alleate nel comune furore distruttivo, nella comune voglia di destabilizzazione che ci investe ogni giorno di più e più da vicino. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan resta pilastro della Nato ma è diventata un tempio dell’ambiguità, e non stupisce che venga colpita a ripetizione lungo due binari che continuamente si intersecano: la Siria e i curdi. Erdogan era amico del presidente siriano Bashar al Assad, ora ne è acerrimo nemico. Per anni ha garantito un transito non troppo difficile a chi andava a combattere con l’Isis, poi si è schierata contro l’Isis aderendo alla coalizione a guida americana. I novecento chilometri di confine con la Siria restano permeabili malgrado gli impegni presi: armi in uscita e petrolio dell’Isis in entrata? E poi la Turchia è un campione sunnita, come l’Arabia Saudita ha le «sue» milizie che combattono Assad e talvolta anche l’Isis, odia l’Iran sciita e con la Russia, che sta da quella parte, ha creduto di regolare i conti abbattendo un cacciabombardiere di Mosca il 24 novembre .

In un simile groviglio gli attentati più recenti erano stati spesso anticurdi e perpetrati dall’Isis, fino alla strage di Ankara (oltre cento morti) nell’ottobre scorso. Dietro c’era una logica tipica di quei paraggi: in Siria i curdi sono l’avversario più temibile dell’Isis, dunque l’Isis colpisce i curdi anche in Turchia, anche quando sono riuniti per una grande manifestazione pacifista come appunto in ottobre. Le autorità turche attribuiscono a un kamikaze dell’Isis anche l’attacco di ieri nel santuario turistico di piazza Sultanahmet. Può darsi, naturalmente. Può darsi che la nazionalità delle vittime, quasi tutte tedesche, abbia un significato. Ma va per lo meno notato che questo, per la prima volta da un certo tempo, non è stato un attacco contro i curdi locali legati a quelli di Siria.

Che il nemico sia stato questa volta, oltre alla Turchia dei girotondi, la nostra sgangherata Europa rappresentata da un gruppo di turisti tedeschi? Improbabile ma impossibile da escludere, visto che Angela Merkel si era data da fare più di tutti per concludere con Erdogan un discusso accordo volto a «frenare» in Turchia le ondate di migranti siriani e afghani dirette dalle nostre parti e soprattutto dalle sue parti, in Germania. Se per caso di questo si è trattato, l’Isis per la prima volta apparirebbe male informato. Perché il patto concluso con Ankara sin qui non ha avuto alcun effetto pratico, per due buone ragioni tra loro connesse: la prima tranche dei tre miliardi di euro promessi alla Turchia non è arrivata a destinazione, e guarda caso l’intensità dei flussi migratori non è diminuita non essendo stata trattenuta nemmeno parzialmente in Turchia.

Quel che è sicuro è che l’attentato di ieri, chiunque l’abbia commesso, aveva nel mirino il turismo internazionale. Non soltanto perché lo dimostra la scelta del luogo e la conseguente nazionalità straniera delle vittime, ma anche perché non può sfuggirci una coerenza criminale che ha colpito di volta in volta in un museo e poi sulle spiagge tunisine, nel Sinai egiziano diventato cimitero di una comitiva russa che volava verso casa, forse a Hurghada nei giorni scorsi per quanto l’episodio non sia stato pienamente chiarito. L’idea non è nuova, e funziona come una lama a doppio filo: i Paesi ospitanti che attraversano difficoltà economiche soffriranno dei mancati apporti ai loro bilanci nazionali, mentre in quelli di provenienza si diffonderà la paura e si moltiplicheranno le disdette.

Sarebbe ipocrita dire che questi due obiettivi non si raggiungono con le stragi. Purtroppo le stragi hanno una loro spregevole efficacia. Almeno fino a quando non diventeremo efficaci anche noi, nel fermare la mano degli assassini.

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