Accecante l’irrazionalità di un sistema nel quale nei casi di arresto facoltativo può essere applicata una misura coercitiva mentre in nuovo caso di arresto obbligatorio no
Di buone intenzioni è lastricato non solo l’inferno ma — parrebbe — anche il cantiere legislativo quando è succube dell’emergenza di turno e va troppo di fretta: almeno a giudicare dal baco che, in una norma pensata per tutelare le donne vittime di violenza, annulla proprio lo scopo nella riforma del processo penale del ministro Marta Cartabia, approvata a fine settembre con inappropriato doppio ricorso al voto di fiducia, e in vigore tra pochi giorni.
Sinora incorreva nell’arresto obbligatorio lo stalker o il maltrattante che avesse violato gli arresti domiciliari, ma non chi avesse violato i provvedimenti con cui il giudice gli aveva ordinato di allontanarsi dalla casa familiare della vittima o di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla donna nel mirino. Adesso, invece, l’arresto obbligatorio (in flagranza o quasi flagranza) è previsto, oltre che per maltrattamenti e atti persecutori, appunto anche per la violazione dei divieti che (dal «Codice rosso» in poi del ministro Bonafede) l’articolo 387 bis punisce con 3 anni di reclusione nel massimo.
Chiaro l’intento della norma paracadutata in extremis in Commissione giustizia della Camera nel testo della riforma Cartabia, anche sull’onda di casi nei quali uomini avevano ucciso le loro ex compagne dopo aver violato l’ordine di non avvicinarsi: tutelare di più le potenziali vittime.
Senonché un difetto di coordinamento, con le regole generali sugli arresti di tipo facoltativo e gli arresti di tipo obbligatorio, creerà un corto circuito tra due obblighi: e produrrà cioè il non senso di polizia e carabinieri obbligati a eseguire l’arresto obbligatorio, ma di pm nel contempo obbligati subito a liberare l’arrestato perché le misure coercitive si possono chiedere soltanto per reati puniti con pena «superiore» nel massimo a 3 anni, mentre l’articolo 387 bis ha la pena «fino» a tre anni.
Accecante l’irrazionalità di un sistema nel quale nei casi di arresto facoltativo può essere applicata una misura coercitiva, e invece in questo nuovo caso di arresto obbligatorio no. Non essendo possibili interpretazioni estensive, alcuni uffici potrebbero provare a ripiegare (come ad esempio da tempo la Procura di Tivoli guidata da Francesco Menditto) sulla richiesta al gip di applicare all’indagato, insieme all’ordine di non avvicinarsi alla parte offesa, un braccialetto elettronico per monitorarlo: ma un vuoto legislativo ipoteca il poterlo fare o meno quando l’indagato non presti il consenso al braccialetto. Insomma, la riforma della giustizia ancora non è pubblicata in Gazzetta Ufficiale e già ci sarà da rimetterci mano.