22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Enrico Marro

Di leggi Finanziarie, che poi si sono chiamate di Stabilità e ora di Bilancio, ne abbiamo viste così tante che possiamo anticipare che questa manovra bis, rischia l’insuccesso, anche rispetto ai target del governo.


La decisione dell’Europa di non avviare una procedura di infrazione è un buon risultato dopo due mesi e mezzo di sofferenze. Basta qualche flash, per ricordare quello che è successo. I festeggiamenti sul balcone di Palazzo Chigi del vicepremier Luigi Di Maio e dei ministri grillini per celebrare la vittoria sul titolare dell’Economia al quale era stato imposto un deficit del 2,4% del Pil per i prossimi tre anni. I proclami dell’altro vicepremier, Matteo Salvini, sulle «letterine» di Bruxelles che non avrebbero spostato di un millimetro la manovra. Il premier, Giuseppe Conte, ancora ieri in Senato, ha sostenuto che il governo «non è mai arretrato rispetto agli obiettivi che ci hanno dato gli italiani con il voto del 4 marzo». Ma ildeficit al 2% e il Pil all’1% invece dell’1,5%, dovrebbero spingere a riconoscere i propri errori, primo passo per evitarne altri. Questo giornale aveva avvertito per tempo, il 17 ottobre scorso, che la manovra era «un atto di fede», che non aveva possibilità di reggere alla prova dei fatti. E alla fine va dato atto a Conte, e ai ministri Giovanni Tria(Economia) e Enzo Moavero Milanesi (Esteri) di essere riusciti a rimettere in carreggiata una legge che rischiava di isolarci. Ma la partita continua. E di leggi Finanziarie, che poi si sono chiamate di Stabilità e ora di Bilancio, ne abbiamo viste così tante che possiamo anticipare che questa manovra bis, rischia l’insuccesso, anche rispetto ai target del governo.
«Quota 100», cioè la possibilità di andare pensione a 62 anni d’età con 38 anni di contributi, sarà sfruttata soprattutto dai lavoratori più forti (sono per lo più maschi e con carriere nel pubblico impiego e nella grande industria, quelli che possono arrivare a 38 anni di versamenti Inps) mentre sarà subita da quelli più deboli (aziende in crisi, servizi) che volenti o nolenti saranno indotti dai datori di lavoro a togliere il disturbo, prepensionandosi. Il «reddito di cittadinanza», cioè il sussidio fino a 780 euro per i poveri, disperderà risorse su lavoratori in nero e giovani indotti ad adagiarsi nell’assistenza di Stato, risorse che si sarebbero potute spendere meglio rafforzando il Rei, il reddito di inclusione varato dai governo Renzi e Gentiloni, che già raggiunge oltre un milione di persone, sicuramente i più poveri dei poveri. Ma, oltre che agli obiettivi del governo, la manovra rischia di non servire neppure al Paese. La legge di Bilancio, nonostante le correzioni imposte dalla commissione europea, non sostiene le imprese e i lavoratori e aumenta la spesa improduttiva. Tanto che perfino aver ribassato l’obiettivo di crescita del Pil nel 2019 all’uno per cento potrebbe rivelarsi ottimistico. Sul fronte delle entrate poi, nessuna novità. Anzi il ritorno alla politica dei condoni, comunque uno schiaffo ai contribuenti onesti, e il solito problema delle clausole di salvaguardia Iva da disinnescare per il 2020 e 2021, che già ipotecano la prossima manovra.
Vorremmo sbagliarci, ovviamente. Ma temiamo che il governo non abbia tenuto in conto — e l’inesperienza è solo una parziale giustificazione — che il tempo perso avrà purtroppo conseguenze, oltre quelle che già ha avuto per esempio in termini di maggiore spesa per interessi sul debito pubblico. Ogni manovra, infatti, richiede sempre centinaia di adempimenti attuativi (decreti ministeriali, regolamenti, circolari) che di solito ritardano di molto il dispiegarsi degli effetti delle misure varate. Il fatto che la legge di Bilancio, composta di centinaia e centinaia di articoli e commi, sarà approvata nel giro di qualche giorno, con una fretta senza precedenti e in una oggettiva confusione, non promette nulla di buono per la delicata fase due, quella appunto dell’applicazione delle norme. Si preparano mesi difficili. Anche perché c’è il rischio che l’economia torni in recessione mentre il decreto «dignità» sembra averla addirittura anticipata sul fronte dell’occupazione.
Fin qui i contenuti. Ma forse il metodo è ancora più preoccupante. L’ultima cosa che ci si sarebbe aspettati dal governo «del cambiamento» era l’umiliazione del Parlamento. I 5 Stelle hanno voluto Roberto Fico presidente della Camera, con lo scopo di dare maggior lustro all’assemblea degli eletti del popolo. Quella stessa Camera costretta dal governo Conte, prima ad approvare col voto di fiducia una legge di Bilancio finta e ora a ratificare, ancora con la fiducia, una legge riscritta non dal Parlamento ma nella trattativa fra i tecnici del ministero dell’Economia e quelli della commissione europea. Una lezione meritata per il sovranismo di facciata. Immeritata per gli italiani, che avrebbero diritto a un governo con una direzione di marcia meno ondivaga.

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