Fonte: Corriere della Sera
di Giuseppe Sarcina
Il team per la transizione del presidente eletto, guidato dal governatore del New Jersey, è già al lavoro sulla formazione di un governo fatto di figure forti e riconoscibili
Rudolph Giuliani, il sindaco sceriffo della «tolleranza zero»
Trump lo vorrebbe nella squadra con il ruolo di «sceriffo d’America». Non importa se come ministro dell’Interno o della Giustizia. Rudolph Giuliani, 72 anni, repubblicano, sindaco di ferro a New York dal 1994 al 2001, è passato alla storia del Paese per lo slogan programmatico «tolleranza zero» contro il crimine. Tutti lo ricordano anche accorrere a Ground Zero, l’11 settembre del 2001. In questi giorni Giuliani ha detto di non essere «molto interessato» a un posto nel governo. Ma il suo nome resta in cima alla lista. Giuliani aveva provato a correre per la Casa Bianca, nel 2008, superato alle primarie da John McCain. Si è avvicinato a Trump solo negli ultimi mesi, annunciando il suo «endorsement» il 7 aprile. Ha recuperato tempo, spendendosi con grande vigore nella campagna elettorale. È arrivato persino a giustificare, lui uomo di legge, le dichiarazioni dei redditi discutibili del tycoon. «È riuscito a non pagare le tasse? Donald è un genio». È stato protagonista anche di una durissima polemica contro il movimento degli afroamericani di «Black Lives Matter». Così in un’intervista alla Cbs dopo la strage dei poliziotti a Dallas, a luglio: «Dire “le vite dei neri contano”è intrinsecamente razzista e anti americano. Contano le vite dei neri, quelle dei bianchi, degli asiatici, degli ispanici».
Sarah Palin, la regina dei Tea Party anti aborto e pro pena capitale
Sarah Palin può tornare sulla scena politica nazionale a fianco di Donald Trump. L’ex governatrice dell’Alaska, 53 anni, sposata, cinque figli, è stata ed è ancora figura di punta del Tea Party. Nel 2008 il senatore John McCain l’ha voluta come vice nel ticket per le presidenziali, poi sconfitto da Barack Obama e Joe Biden. Palin è stata la prima a schierarsi apertamente e rumorosamente con Donald Trump, comparendo in un comizio ad Ames, in Iowa, il 19 gennaio scorso. Una performance da predicatrice televisiva: «Trump è un miliardario e non c’è niente di male. Non è un politico, posso avere un Alleluia?». E i militanti in coro: «Alleluia!». Il suo linguaggio spesso onora il soprannome che l’accompagna da quando frequentava le superiori: «barracuda». Palin è uno dei personaggi più controversi nelle cronache degli ultimi anni. Ferrea anti abortista, pro vita, ma favorevole alla pena di morte; drasticamente liberista in economia, iperconservatrice nelle politiche sociali. Il giorno dopo il raduno dell’Iowa il quotidiano popolare di New York Daily News pubblicò in prima pagina la foto di Palin e di Trump, con questo titolo: «Io sto con lo stupido». Adesso Trump è il presidente e Sarah Palin avrà un incarico ancora da definire. Forse il nuovo ministero per i Veterani.
Donald Junior ma anche Eric e Ivanka
Il primogenito del neo presidente ha fatto sapere che gli piacerebbe diventare ministro dell’Interno oppure, perché no, consigliere alla Casa Bianca. Sarebbe un approdo coerente. La famiglia di Trump si è mossa come un partito nel partito. Adesso bisognerà decidere chi dovrà restare a occuparsi del gruppo immobiliare e finanziario e chi potrà proseguire l’avventura politica. Da quello che si è capito finora, Ivanka, 35 anni, la vera star della casa, la pupilla di The Donald, potrebbe gestire le aziende. Mentre Donald Junior, 39 anni, entrerebbe nell’amministrazione. Un posto, probabilmente nello staff del presidente, potrebbe essere riservato anche a Eric, 32 anni, nato dal primo matrimonio di Donald con Ivana Zelnickova. Ancora troppo giovane, la ventitreenne Tiffany, figlia del tycoon e di Marla Maples. Il trio Donald jr, Ivanka ed Eric ha pesato molto nelle decisioni più delicate dei questi mesi. Sarebbero stati loro, per esempio, a consigliare di allontanare Corey Lewandowski, il coordinatore nella prima fase della campagna. E avrebbero aiutato il padre a selezionare il vice presidente, scartando Christie a favore di Mike Pence. Alla Convention di Cleveland la più applaudita è stata Ivanka. E il neo presidente potrebbe cambiare idea e chiederle, ancora una volta, di partecipare.
Chris Christie, il politico arrembante che gli fu avversario
Il politico forse più arrembante nel circolo Trump. Il governatore del New Jersey, 54 anni, era convinto di poter fare molta strada nelle primarie repubblicane. Aveva cominciato prendendo come bersaglio proprio Donald Trump. In un pub dell’Iowa, a fine gennaio, in un comizio prima del caucus, lo aveva definito un clown che non sarebbe mai potuto diventare «Commander in chief» degli Stati Uniti. Visti i primi risultati delle urne è stato il più rapido ad accodarsi al costruttore newyorkese. A lungo ha sperato di poter diventare il vice presidente designato. Alla fine Trump gli ha affidato un incarico comunque delicato, come guida del «Team di transizione», cioè il gruppo che deve preparare l’avvicendamento tra l’amministrazione Obama e quella del neo presidente. Christie, madre italiana, padre scozzese, governa il New Jersey, lo stato di fronte a New York, dal 2009. Nel 2014 è rimasto invischiato in un scandalo politico che può compromettere le sue smisurate ambizioni. Il suo staff chiese a uno dei capi della Port Authority di creare ad arte ingorghi sul Washington Bridge, uno dei ponti che collega New York al New Jersey. L’obiettivo, mettere in difficoltà il sindaco democratico di Fort Lee, che non aveva sostenuto la campagna per la riconferma del Governatore.
John Bolton, un falco neo-conservatore per guidare la diplomazia
E’ il più quotato per la guida del Dipartimento di Stato, il ruolo più visibile dopo quello del presidente, 68 anni tra pochi giorni, è un diplomatico di lungo corso, spesso al centro delle polemiche. Considerato un neo-conservatore, ha ricoperto vari incarichi, scalando gradi nell’amministrazione Reagan e dei due presidenti Bush, padre e figlio. È stato uno dei fautori più accesi dell’invasione dell’Iraq nel 2003, decisa da George W. Bush che nel 2005 lo nominò ambasciatore all’Onu. Durò solo un anno, poi il Congresso non convalidò il secondo mandato. Resta viva la memoria delle risse verbali con i pari grado di Cuba e Iran. Negli ultimi anni ha svolto attività di lobbista nell’area iper conservatrice e su posizioni fortemente filo-israeliane. Consigliere per la politica estera di Mitt Romney, il candidato alle presidenziali del 2012. Bolton, con i suoi baffoni da sceriffo, è un personaggio spigoloso, dal linguaggio diretto e dalle impennate imprevedibili: è arrivato a proporre un attacco preventivo contro le centrali atomiche iraniane. Nel 2015 aveva suggerito di risolvere la crisi mediorientale creando il Sunnistan, un nuovo Stato tra Siria e Iraq. In questa campagna ha messo insieme un gruppo di finanziatori e si è schierato con Trump, non senza criticarlo talvolta. Non condivide l’idea di declassare la Nato.
Gingrich, il liberista con il mito Reagan per portare «Law & Order»
In corsa come alternativa a Bolton per il Dipartimento di Stato, oppure per un incarico nell’area «Law & Order», come scrive il sito Politico. L’ex speaker della Camera, 73 anni, fa parte della generazione cresciuta con il mito di Reagan e della «rinascita repubblicana». Negli Anni 90 si trova a organizzare l’opposizione a Bill Clinton, nella Camera dei rappresentanti, e condurre l’indagine sul caso Lewinsky. A sua volta è investito da una polemica per una relazione con un’impiegata della Camera. Nel 1998 si dimette dal Congresso. Resta attivo in politica come consulente e lobbista. Nel 2011 si presenta alle primarie presidenziali, ma non sfonda. Si ritira e appoggia, disciplinatamente, il front-runner Mitt Romney. In questa campagna Gingrich si è schierato quasi subito con Donald Trump, fino a diventarne un’ultrà, attaccando a fondo Hillary Clinton, ma anche l’establishment del partito repubblicano. È un iper conservatore sul versante etico-morale, liberista in economia. Diverse sue idee non sono compatibili con ciò che Trump ha ripetuto per 18 mesi. Gingrich, per esempio, è un fautore dell’apertura commerciale e quindi degli accordi internazionali. Sostiene che si debba rafforzare il dialogo con la Cina, considera Putin un autocrate pericoloso.
Mnuchin, l’ex di Goldman Sachs che vuole la Fed sotto tutela
Un nome poco conosciuto al di fuori degli ambienti economici. Mnuchin, 53 anni, laureato a Yale, fa parte di una delle famiglie di origine ebrea più in vista della finanza newyorkese, con una lunga consuetudine con il clan Trump. Suo padre era un socio di Goldman Sachs, dove lui stesso ha poi lavorato per 17 anni, accumulando un patrimonio di 40 milioni di dollari. Ha fatto anche il produttore cinematografico a Hollywood. Oggi è l’amministratore delegato dell’hedge fund Dune Capital Management. Trump lo ha evocato più volte come possibile ministro dell’Economia. I due sono in contatto da mesi. Il tycoon gli aveva chiesto aiuto nel maggio scorso, quando la sua campagna elettorale era rimasta a corto di fondi. Mnuchin aveva provato a raccogliere qualcosa, partecipando alla riunione annuale del Salt a Las Vegas, dove si incontra la nuova élite della finanza americana. In quell’occasione, però, non riuscì a convincere i grandi donatori. Il finanziere è diventato uno dei più stretti consiglieri di Trump, insieme con John Paulson, altro manager di hedge fund. I due uomini di mercato vorrebbero, per paradosso, mettere il guinzaglio alla Fed, la banca centrale americana, obbligando la presidente Janet Yellen a «coordinarsi», non si capisce come, con il Congresso. In campagna elettorale Trump aveva annunciato che avrebbe sostituito Yellen.