24 Novembre 2024
ESTERI
Fonte: La Stampa
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Quindici persone nella lista nera di Bruxelles: salvate aziende e uomini d’affari.  Il Cremlino: “Vergogna”. Si tratta per il rilascio degli ostaggi. Assalto a Lugansk

Anche l’Ue, dopo gli Usa, estende le sanzioni contro la Russia per la crisi ucraina. Ma, a differenza di quelle già blande di Washington, sono misure quasi simboliche, snobbate dalla Borsa moscovita, anche se bastano a irritare il Cremlino che denuncia la volontà occidentale di «tornare alla Cortina di ferro», ribaltando la celebre accusa di Churchill a Stalin, quasi 70 anni fa. Mentre Vladimir Putin da Minsk avverte: se si va avanti così, Mosca è pronta a «rivedere» la presenza delle aziende straniere, colossi dell’energia in primis, nei «settori chiave dell’economia russa».

Intanto i separatisti filorussi continuano le occupazioni a mano armata di nuovi edifici pubblici, come successo a Lugansk.

Delle 15 persone colpite dalla sanzioni europee, 9 sono russi e solo uno fa parte del `cerchio magico´ di Putin: è il vicepremier Dmitri Kozak, uno dei più fedeli alleati del leader del Cremlino, che lo utilizza per gli incarichi più delicati, dalle Olimpiadi di Sochi all’integrazione della Crimea, delega quest’ultima per cui è finito nella blacklist pubblicata oggi da Bruxelles. Gli altri due personaggi di spicco sono il capo di Stato maggiore, gen. Valer Gerasimov, e il direttore dello spionaggio militare (Gru) Igor Sergun, accusati rispettivamente del dispiegamento di truppe al confine e dell’infiltrazione di 007 tra i filorussi. Gli altri russi sono figure di secondo piano, mentre i restanti sei nomi della lista nera europea sono leader politici o militari dei secessionisti.

Manca, stranamente, Viaceslav Ponomariov, autoproclamato sindaco di Sloviansk, dove sono tenuti in ostaggi gli osservatori dell’Osce. È stato proprio Ponomariov a minacciare lo stop delle trattative per il loro rilascio se non verranno ritirate le sanzioni contro gli esponenti delle forze di autodifesa, anche se in serata ha parlato di «progressi significativi e colloqui produttivi».

Secondo alcuni analisti, gli Usa avrebbero limitato la forza d’urto delle loro sanzioni anche su richiesta della Ue, legata economicamente ed energeticamente alla Russia molto più di Washington. Questo spiegherebbe la strana assenza da tutte le blacklist di Alexiei Miller, ad di Gazprom, anche lui un fedelissimo di Putin. Colpirlo ora significherebbe compromettere i negoziati sulla sicurezza delle forniture di gas russo all’Europa e all’Ucraina – il 2 maggio è previsto un trilaterale a Varsavia – da parte di Gazprom, che peraltro lo scorso anno ha aumentato le sue vendite all’Europa (+ 15%, e +67% all’Italia). Proprio oggi, inoltre, il colosso russo ha firmato un memorandum per la costruzione di una diramazione austriaca del gasdotto South Stream: tutti segnali della difficoltà europea di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.

Mosca, che oggi ha promesso di rispondere anche alle sanzioni giapponesi (blacklist con 23 nomi ancora ignoti), è chiaramente sdegnata ma per ora ha avuto reazioni controllate. Parlando a margine del vertice `euroasiatico´ di Minsk con Bielorussia e Kazakhstan, Putin ha alternato il bastone alla carota. Ha escluso per ora nuove contromisure russe e ha auspicato il rilascio degli osservatori dell’Osce, ma ha anche minacciato di fatto di tagliar fuori dai settori strategici dell’economia russa gli investitori occidentali, se Usa e Ue insisteranno sulla strada delle sanzioni. Negata ancora una volta la presenza di «militari o istruttori russi» nell’est dell’Ucraina, il leader del Cremlino ha poi accusato Washington di aver manovrato fin dall’inizio per il cambio di potere a Kiev, come dimostrerebbero le reazioni accese di queste ore. E ha invitato l’Unione Europea a «non guardare alla Russia», se cerca qualcuno a cui addossare le colpe della crisi in atto.

Per il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov, che oggi ha messo un piede nel `giardino di casa´ degli Usa, incontrando a Cuba Raul Castro e denunciando l’ultradecennale embargo contro l’isola caraibica, le sanzioni anti-russe vanno del resto «contro il buon senso». Mentre il vice ministro degli Esteri russo Serghiei Riabkov si è spinto a denunciare il rischio del ritorno della cortina di ferro, stavolta a opera dell’Occidente.

Minacce «spaziali» arrivano invece dal vicepremier Dmitri Rogozin, destinatario della sanzioni occidentali: «Con le sanzioni gli Usa inguaiano i loro astronauti sulla Iss». «Ora ci andranno con l’aiuto del trampolino», ha ironizzato su Twitter, marcando il monopolio russo nei lanci delle navette spaziali.

Intanto il Donbass è sempre più saldamente nelle mani dei ribelli, che oggi hanno occupato con i loro assalti armati, ma senza colpo ferire, le sedi municipali di Piervamaisk, cittadina di 40mila abitanti, e ben tre edifici a Lugansk: la sede del governo regionale, la procura e il commissariato. Via le bandiere ucraine e su quelle russe. Eventi che «dimostrano l’inazione, l’impotenza e talvolta il tradimento criminale delle forze dell’ordine nelle regioni di Donetsk e di Lugansk», ha accusato livido il presidente ad interim Oleksandr Turcinov, poche ore prima che una colonna di poliziotti ucraini uscisse a capo chino dal quartier generale della pubblica sicurezza di Lugansk consegnando docilmente le armi agli insorti. Insorti liquidati addirittura come espressione di «puro e semplice terrorismo», in una furibonda nota dell’ambasciata Usa di Kiev, che ha condannato i sequestri degli osservatori, «di cui alcuni picchiati selvaggiamente».

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