A Bruxelles passa il “pacchetto” deciso da popolari, socialisti e liberali per i vertici dell’Unione. Bis per von der Leyen, Costa al Consiglio e Kallas Alto rappresentante
Il Consiglio europeo ha dato il via libera alle nomine eGiorgia Meloni resta isolata: si è astenuta su Ursula von der Leyene ha votato contro il socialista Antonio Costa e la liberale Kaja Kallas. L’Italia del centrodestra si ritrova così all’opposizione nell’Ue. Fuori dal centro di comando e emarginata.
«Sulle nomine c’è un’ampia convergenza su questi tre nomi…», aveva esordito in tarda serata il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aprendo il confronto sulle massime cariche istituzionali dell’Unione. Confermando dunque il “pacchetto” annunciato negli ultimi giorni: Von der Leyen, Costa e Kallas. Il patto tra Popolari, sociali e Liberali non è stato dunque intaccato dall’opposizione del fronte “destro” composto da Italia, Ungheria e Slovacchia. Nessuna apertura sostanziale ad alternative, solo disponibilità formale a discutere le candidature.
Un modo educato per spiegare a Giorgia Meloni che su queste proposte può esprimere la sua opinione ma una maggioranza c’è e resiste. E lei non è in grado di formare una minoranza di blocco capace di stoppare l’iter. La discussione, in effetti, c’è stata. È iniziata dopo le 22. La prima parte è stata dedicata alla “Agenda Strategica”, il programma di legislatura basato su tre pilastri: Economia, Difesa e Democrazia. Un documento preparato da Von der Leyen e ampiamente emendato da Germania e Francia, i paesi che anche stavolta hanno dato le carte nelle scelte fondamentali dell’Ue. Per far capire come le agitazioni della premier italiana fossero accolte all’Europa Bulding, basta prendere il commento rilasciato durante il vertice da un diplomatico del Consiglio: «Meloni è ormai l’unico ostacolo che ci separa dalla possibilità di andare a dormire presto».
Insomma, il gioco era fatto, la presidente del consiglio poteva solo ritardare la decisione. Gli stessi Popolari hanno approcciato il summit cercando di indorare la pillola. «Nessuna decisione verrà presa senza l’Italia», ha detto il “negoziatore” del Ppe, il premier polacco Tusk. Facendo intendere che ufficialmente la decisione sarebbe stata presa durante il Consiglio europeo. Ma senza considerare la possibilità di modificare le candidature. E in effetti Meloni non l’ha presa bene. Durante la prima parte della riunione è rimasta silenziosa. E quando Michel ha aperto il dibattito, tutto è cambiato. Dalla sala sono uscite Von der Leyen e Kallas (al momento premier estone) per evitare qualsiasi forma di conflitto di interessi. La speranza che il “Pacchetto” venisse approvato con il consueto meccanismo del silenzio-assenso è svanita in un attimo. Meloni: «Non ci sto».
Con lei si è schierato in parte solo l’ungherese Orbán (che ha votato contro von del Leyen, a favore di Costa e astenuto su Kallas): «Gli elettori europei sono stati ingannati. Non sosteniamo quest’accordo vergognoso». Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha difeso le scelte. L’inquilino dell’Eliseo, del resto, ha sempre cercato di chiudere la partita prima delle elezioni che si svolgeranno nel suo Paese domenica prossima. Ha anche fatto sapere di voler confermare l’attuale commissario, Thierry Breton, chiedendo di affidargli anche una vicepresidenza esecutiva. Ruolo che a questo punto difficilmente potrà essere conquistato dall’Italia. Dalla sua anche il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz. La posizione tedesca non è cambiata. Anche nel prevertice con i socialisti, Scholz aveva avvertito: «Non ci può essere alcuna collaborazione con Ecr» e quindi nemmeno con Meloni. Parole che hanno decisamente infastidito Palazzo Chigi. «Non si può andare oltre l’accordo con il Ppe e Renew — ha insistito — dobbiamo fare in modo che questo accordo tenga. Non possiamo lasciare spazi che consentano ad altri di infilarsi». E ancora più esplicitamente dopo il via libera: «Sono fermamente convinto che sia positivo che i partiti che appartengono alle famiglie populiste di destra non siano nell’accordo». Il Cancelliere ha anche promesso di fare un tentativo per allargare la maggioranza ai Verdi: «Ma non sarà facile».
In effetti con Macron stanno organizzando una trattativa per portare gli ambientalisti a votare Ursula in Parlamento. I loro 50 voti metterebbero al riparo la coalizione dai franchi tiratori. Per la presidente della Commissione, infatti, il test finale sarà a Straburgo il 18 luglio. E dovrà cercare una quota-cuscinetto di consensi. E a Meloni ha concesso un contentino: «È molto importante per me lavorare al Consiglio con l’Italia, con tutti gli altri Stati, è un principio che ho seguito sempre».