La trattativa è avvenuta in tempi stretti, tenuto conto che il pacchetto di norme dovrà ora passare al vaglio formale delle due istituzioni prima della fine della legislatura. L’obiettivo è di poter applicare il nuovo Patto di Stabilità, almeno nelle sue grandi linee, fin dai bilanci dell’anno prossimo
È stato trovato nella notte tra venerdì e sabato un accordo preliminare tra Parlamento e Consiglio sulle nuove regole di bilancio, dopo oltre 16 ore di negoziato. La trattativa è avvenuta in tempi stretti, tenuto conto che il pacchetto di norme dovrà ora passare al vaglio formaledelle due istituzioni prima della fine della legislatura. Da notare è che la quota nazionale di cofinanziamento dei programmi europei sarà esclusa dal calcolo della spesa pubblica.
In un comunicato, la presidenza belga dell’Unione ha confermato che in linea con la proposta comunitaria le nuove norme prevedranno una traiettoria di riduzione dei deficit e dei debiti, quando questi sono superiori al 3 e al 60% del prodotto interno lordo. La traiettoria sarà messa a punto dalla Commissione europea e sarà basata sulla spesa netta dei singoli paesi. Dal canto loro, i governi saranno chiamati a pubblicare piani di bilancio di medio termine.
“La traiettoria di riferimento indicherà il modo in cui gli Stati membri potranno garantire che, alla fine di un periodo di aggiustamento di quattro anni, il debito pubblico sia su una traiettoria plausibilmente discendente o rimanga a livelli prudenti nel medio termine”, si legge nel comunicato pubblicato questa notte dal Consiglio. La riforma del Patto doveva in origine semplificare le norme di bilancio. A tutta prima non sembra che questo obiettivo sia stato raggiunto.
Secondo un comunicato del Parlamento, l’accordo prevede che i paesi con un debito eccessivo sarebbero soggetti a una riduzione del passivo in media dell’1% all’anno se il debito è superiore al 90% del PIL e dello 0,5% in media all’anno se il debito è compreso tra il 60% e il 90% del PIL. Queste disposizioni sono meno restrittive rispetto all’attuale requisito – mai applicato, peraltro – secondo cui ogni paese deve ridurre il debito annualmente di 1/20 dell’eccedenza al di sopra del 60%.
L’accordo provvisorio tra le due istituzioni comunitarie contiene inoltre due controverse salvaguardie. La prima riguarda la sostenibilità del debito e deve servire a garantire una riduzione minima dei livelli di indebitamento, come abbiamo visto poco sopra; la seconda concerne il deficit e deve fornire un margine di sicurezza al di sotto del valore di riferimento del disavanzo del 3% del PIL previsto dal trattato, al fine di creare riserve di bilancio. Il margine sarà dell’1,5% del PIL.
Sappiamo che durante il negoziato con il Parlamento entrambe le salvaguardie sono state oggetto di accese trattative. Particolarmente controversa è la salvaguardia relativa al deficit, voluta dai paesi più attenti alla lotta contro l’indebitamento. In buona sostanza, i relatori – la popolare olandese Esther De Lange e la socialista portoghese Margarida Marques – hanno chiesto in cambio maggiore flessibilità sul versante degli investimenti. A questo proposito, in un suo comunicato il Parlamento ha precisato che “la quota di cofinanziamento nazionale dei programmi finanziati dall’Unione europea sarà esclusa dalla spesa del governo, creando maggiori incentivi agli investimenti”. C’è di più. Nel valutare eventuali deviazioni dal percorso stabilito, la Commissione dovrà tenere conto degli investimenti già decisi in precedenza, in modo che un paese possa nel caso argomentare contro una eventuale procedura.
I paesi membri – precisa inoltre la presidenza belga – potranno chiedere un’estensione del periodo di aggiustamento di bilancio, da quattro a sette anni, “se realizzano determinate riforme e investimenti che migliorano la resilienza e il potenziale di crescita, sostengono la sostenibilità di bilancio e affrontano le priorità comuni dell’Unione”. Queste ultime comprendono la transizione verde e digitali, la crescita economica, e anche lo sviluppo delle capacità di difesa.
Il negoziato delle scorse ore qui a Bruxelles è avvenuto dopo che in primavera la Commissione europea aveva proposto una attesa riforma del Patto di Stabilità, con l’obiettivo di trovare un nuovo ambizioso equilibrio tra il risanamento dei conti pubblici e il rilancio degli investimenti statali (si veda Il Sole/24 Ore del 27 aprile 2023). La sfida è antica e nei fatti risale ai primi anni dell’unione monetaria. La discussione ha messo in luce storiche divisioni tra i paesi.
La partita è tutt’altro che terminata. L’intesa politica deve ora essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento. Negli ultimi tempi, la ratifica delle due istituzioni, solitamente impresa facile, è diventata molto più complicata. Di recente almeno tre accordi legislativi sono stati rivisti direttamente o indirettamente. L’avvicinarsi del voto di giugno potrebbe da un lato indurre a un’approvazione rapida da parte del Parlamento, ma dall’altro potrebbe anche provocare nuovi irrigidimenti.
“Le nuove norme miglioreranno significativamente il quadro esistente e garantiranno regole efficaci e applicabili a tutti i paesi dell’Unione – ha commentato il ministro delle Finanze belga Vincent Van Peteghem, che ha condotto il negoziato insieme ai relatori parlamentari –. Salvaguarderanno finanze pubbliche equilibrate e sostenibili, rafforzeranno l’attenzione sulle riforme strutturali e promuoveranno gli investimenti, la crescita e la creazione di posti di lavoro in tutta l’Unione europea”.