Poi la retromarcia di Palazzo Chigi: «La mia era una critica al Pd. Il nuovo Patto sia praticabile»
n attacco a Mario Draghi e poi la retromarcia: «Non ce l’avevo con lui». Giorgia Meloni è nel pieno della replica, dopo le comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo che comincia domani a Bruxelles. Dopo un discorso lungo e articolato che non scalda l’Aula, si apre il dibattito. Le opposizioni accusano, la maggioranza elogia il governo. Tutto nella norma. Poi tocca alla presidente del Consiglio rispondere alle accuse delle opposizioni e l’atmosfera si scalda. Tradizionalmente è il momento più vivace di questo tipo di dibattiti, soprattutto quando la premier è Meloni, che abbandonando lo stile istituzionale, torna nei panni della leader di opposizione.
La critica che più colpisce la presidente del Consiglio è quella sulla politica estera, in particolare il discorso della deputata dem Lia Quartapelle: «Non si può essere insieme amici di Zelensky e calorosi con Orban. Lei deve scegliere», le dice. Meloni risponde dura, rivendicando la decisione di non aver rotto mai i suoi rapporti con gli Stati di Visegrad: «La politica estera non si fa dicendo “scelga”. La politica è saper dialogare. Meglio essere isolati che svendere l’Italia». Poi, però, per chiarire meglio il concetto, va oltre e cita un’immagine famosa del suo predecessore: «Mi ha molto colpito che si sia fatto riferimento al grande gesto da statista di Mario Draghi e la foto in treno verso Kiev con Macron e Scholz. Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente». Un attacco che si conclude così: «L’Europa non è a tre ma a 27, bisogna parlare con tutti: io parlo con la Germania, la Francia e pure con l’Ungheria, questo è fare bene il mio mestiere». Lo stupore negli occhi dei parlamentari, non solo dell’opposizione, è subito evidente. Mai la presidente del Consiglio aveva preso di mira così direttamente Draghi, con il quale i rapporti non si sono mai interrotti. Anzi, la premier in passato ha chiesto ai suoi ministri, primo fra tutti Raffaele Fitto (sull’eredità del Pnrr), di evitare ogni riferimento all’ex presidente della Bce nelle polemiche con il governo precedente.
Le parole di Meloni arrivano nella settimana in cui Draghi è tornato al centro di scenari futuri, con l’ipotesi di un suo ritorno nelle istituzioni europee. Ipotesi smentita dall’interessato, ma che resta nell’aria. Così, quando l’intervento di Meloni è ancora in corso, i pompieri sono già al lavoro. Lo staff ha un mandato: chiarire immediatamente il senso del pensiero della premier: «Non ce l’aveva con Draghi, ma con chi ne invoca il nome», chiariscono nei corridoi di Montecitorio i suoi fedelissimi. E, visto che i siti dei giornali hanno già nei titoli queste dichiarazioni, è lei stessa a uscire dall’Aula, per spiegarsi: «Mi riferivo al Pd, che pensa che tutto il lavoro che Draghi ha fatto si riassuma nella fotografia con Francia e Germania. Non è la foto con Macron e Scholz che determina il lavoro di Draghi. Lui non c’entra niente, anzi – puntualizza – ho rispettato la sua fermezza di fronte alle difficoltà che aveva nella maggioranza. Il suo lavoro non si può risolvere in una fotografia accanto ai leader di Parigi e Berlino». In serata poi ci sono anche dei contatti con lo stesso Draghi per chiudere, o almeno provarci, l’incidente.
Il tema del giorno sarebbe un altro: da stasera nella capitale belga si torna alle partite fondamentali per il futuro dell’Europa. In particolare, il bilancio dell’Ue e l’Ucraina, ma non solo: «Mancherei di onestà intellettuale se non affrontassi per primo il tema che vede maggiormente impegnata l’Italia – ammette Meloni – mi riferisco alla riforma del Patto di stabilità e crescita». Che, chiarisce, «non potrà essere impraticabile». Dopo aver riferito in maniera sommaria sulle trattative in corso, la premier anticipa una certa soddisfazione, perché nell’ultima bozza «la traiettoria di aggiustamento del rapporto deficit/Pil dovrà tenere conto nel triennio 2025/2027 degli interessi maturati sul debito contratto su investimenti per transizione verde, digitale e sulla Difesa». Un segnale che l’Italia è pronta a dire sì all’Ecofin della prossima settimana. A quel punto il governo toglierà il veto alla ratifica del Mes, ma «chi ne parla ora non fa l’interesse dell’Italia – dice Meloni – la questione del Mes va affrontata nel suo complesso, il mandato ricevuto dal Parlamento a non aprire la questione prima della definizione della governance è l’approccio corretto. Se l’avessero fatto i nostri predecessori non ci troveremmo in queste condizioni». Poi passa all’attacco del leader del M5S Giuseppe Conte: «Ha dato il via libera quando era in carica solo per gli affari correnti, l’ha fatto senza mandato parlamentare, senza dirlo agli italiani, con il favore delle tenebre». Accuse a un altro predecessore. Ma stavolta non arriva nessun chiarimento.