19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Riccardo Franco Levi

Si tratterà di essere dentro e avanti con i primi, o indietro con gli altri. Non sarà la prima volta che ci troviamo di fronte a questo bivio

Sabato prossimo i grandi dell’Europa si ritroveranno tutti insieme per festeggiare i sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma. Ci saranno sorrisi, abbracci, foto, una conferenza stampa e una dichiarazione finale ricca di impegni. Ma nessuno si aspetti grandi novità, salti in avanti e, meno che mai, il taglio del nastro e il volare di tappi di champagne per un’Europa a più velocità.
Almeno ufficialmente, se ne parlerà il meno possibile. Troppo alto sarebbe il rischio di offendere chi non avrebbe le carte in regola per salire sui vagoni di testa. Eppure, di questo, di un’Europa a più velocità, molto si discute, in questi giorni: come se ci fosse la prospettiva di un comodo futuro in cui ogni paese potrà scegliere liberamente e in base alle proprie convenienze il ritmo con il quale procedere e gli ambiti nei quali accettare una più stretta integrazione su scala europea.
Non sarà così. Perché l’Europa avrà un senso politico solo se ci sarà un solido nucleo centrale di paesi che decideranno di procedere insieme e al medesimo passo alla costruzione di un’entità più unita e più forte, accettando e condividendone tutte le specifiche responsabilità. A partire da quelle che derivano dall’avere una moneta comune per estendersi via via agli altri campi e fenomeni nei quali unicamente l’Europa può avere la taglia necessaria per far sentire e pesare la propria voce: dalla difesa, forse il primo settore nel quale si cercherà di avanzare, sino alla politica estera, il territorio più gelosamente custodito dagli Stati nazionali. Da sempre l’Europa si è costruita attorno alla Germania. Fu così, all’inizio, con la messa in comune delle produzioni di carbone ed acciaio tra Germania Occidentale, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, per imbrigliarla in una rete che escludesse un ritorno alla guerra e al passato.
Fu ancora così, alla fine degli anni Settanta, con il lancio del Sistema monetario europeo, «l’antenato» dell’euro, fortissimamente voluto da Helmut Schmidt, cancelliere di una Germania che per la prima volta si imponeva come la maggior potenza europea ma che la presenza e il ruolo della Francia e, in misura minore, dell’Italia, permettevano di contenere e moderare all’interno di una cornice comunitaria. Fu così con la nascita dell’euro che non sarebbe nato senza l’unificazione tedesca e la ferma volontà di Helmut Kohl, gigante politico prima ancora che fisico.
Ed è di nuovo così oggi, con l’Europa a più velocità, messa politicamente sul tavolo da Angela Merkel, indiscussa prima inter pares nel consesso dei leader europei.Ma attenti. L’Europa immaginata dalla cancelliera non è una fantastica costruzione alla Escher, con infinite e improbabili collegamenti, scale e passerelle tra molteplici e instabili piani, ma un solido edificio costruito attorno e sulla base di un nucleo di paesi strettamente integrati tra loro. Chi vorrà entrare, anche in un secondo tempo, nel club troverà le porte aperte, ma ne dovrà accettare ed osservare le regole.
Per l’Italia la scelta sarà una sola: o dentro e avanti con i primi, o indietro con gli altri. Non sarà la prima volta per l’Italia il trovarsi di fronte a questo bivio. E la scelta è sempre stata a favore della partecipazione piena e immediata. Se scatto in avanti ci sarà l’Italia non potrà che decidere nuovamente di stare coi primi.
Ma come? Questa è la domanda. Con una scelta che si traduca in politiche coerenti nel tempo non solo sull’esterno ma anche, e soprattutto, all’interno, nel corpo vivo della società italiana? O con una firma apposta con disinvoltura e cinismo, immaginando che essa non comporti fino in fondo l’assunzione di specifiche responsabilità e mutamento di costumi?Nel passato abbiamo dato prove diverse. Come sarà questa volta? Hic Rhodus, hic salta.

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