Fonte: Corriere della Sera
di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli
Dopo un anno esatto di pandemia l’azienda Italia tira le somme. Il Prodotto interno lordo nel 2020 è diminuito dell’8,8%, dice l’Istat. Sono circa 160 miliardi di euro in meno rispetto al 2019. Vuol dire che ognuno di noi ha «perso» 2.600 euro di Pil. Se tutto va bene nel 2021 la ricchezza nazionale risalirà del 3-4%. La più ottimista è Standard & Poor’s: +5,3%. In ogni caso non basta per tornare dove eravamo prima. Ci saremo forse nel 2023. Tutto il mondo ha perso vite umane e Pil, ma, nota Ref ricerche, c’è chi ha preso la botta in una situazione di forza e chi paga debolezze antiche. La ricchezza della Germania, pandemia compresa, negli ultimi 25 anni è cresciuta comunque del 30%, il nostro incremento dal 1995 ad oggi è zero.
Famiglie, meno reddito e più risparmio
Nel 2020 per le famiglie mancano all’appello 29 miliardi di euro di reddito e 108 di consumi. Chi invece non ha perso reddito ha risparmiato, visto che molte spese sono «vietate» dal distanziamento fisico. Così la propensione a «metter via» è passata dal 9 al 16%: sui conti correnti delle famiglie sono finiti 84 miliardi in più rispetto al 2019 (un record storico) e ora il totale viaggia a 1.200 miliardi (Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo). Dentro questi dati medi si nascondono disagi e disuguaglianze in aumento. Un terzo delle famiglie dichiara di aver subito una diminuzione di reddito, il 15% denuncia decurtazioni delle entrate pari al 25%. E crescono le situazioni di grave indigenza: secondo l’indagine Caritas il peso dei nuovi poveri è passato dal 31 al 45% nell’ultimo anno.
Come è cambiata la spesa nei lockdown?
Con meno occasioni di stare in pubblico non si comprano vestiti e scarpe, e questi tagli hanno comportato per il settore un meno 23%. Si rinuncia ai viaggi (-63%), alberghi (-47%), tempo libero (-46%). Per le città d’arte, orfane dei turisti, i cali degli scontrini battuti nei negozi sono vertiginosi, con punte del 56% a Firenze e del 53% a Venezia (osservatorio Cofimprese Ey). È invece salita del 18,9% la spesa per tablet e computer e del 4,7% quella per piccoli elettrodomestici, +2,8% per gli alimentari e +2% quella per telefonia e servizi digitali (stime Prometeia su 192 settori).
Imprese, la resistenza della manifattura
Le imprese italiane, tra servizi e manifattura, fatturano circa 3.100 miliardi euro. Ne hanno persi circa 400, di cui 200 a carico delle imprese chiuse per decreto (Cgia di Mestre). Nella classifica c’è un segno meno anche sui settori più resilienti, dove ai primi posti troviamo alimentare (-3,4%) e farmaceutico (-1,2%). Nella distribuzione c’è un vincitore assoluto: il commercio di beni online: +34% (Prometeia). Chi in assoluto invece ha perso di più è il settore della musica dal vivo (concerti): -97% (Assomusica). I ristoranti hanno lasciato sul piatto il 34% del fatturato mentre cinema, teatri, agenzie di viaggio, palestre, ben il 70% (Cgia Mestre). Qualche segnale positivo arriva dalla manifattura, dopo aver perso il 9% nell’intero 2020, l’export è in crescita del 3,3% soprattutto nei metalli, autoveicoli e alimentari. A gennaio di quest’anno l’indice Pmi, che misura le intenzioni dei manager addetti agli acquisti per il manifatturiero, mostra un’attività in espansione. Nel terziario, invece, la notte resta buia. Ora le aziende, anche le meno colpite, sono più indebitate. Hanno chiesto un 8,5% di prestiti in più rispetto a dicembre 2019 (stima Csc), non per fare investimenti ma per arginare l’emergenza. E così hanno gonfiato, come le famiglie, conti e depositi: 88 miliardi in più rispetto a un anno fa. Tra il 2018 e il 2019 l’incremento era stato di 20 miliardi (stima Intesa Sanpaolo).
Lavoro, più colpite le donne
La disoccupazione è al 9% contro il 7,6 medio dell’Ue, un dato «drogato» dalle misure per evitare il peggio. Il blocco dei licenziamenti, insieme al dispiego di 4 miliardi di ore di cassa integrazione – venti volte la media degli ultimi tre anni per un totale di 7 milioni di lavoratori coinvolti (uno su tre) – ha aiutato soprattutto i contratti a tempo indeterminato. Penalizzati precari, giovani e donne. Gli occupati tra i 25 e i 34 anni sono in calo del 4,4% e gli inattivi, categoria anticamera della disoccupazione, crescono dell’8,3. L’Istat ha certificato che il 70% dei 444 mila posti scomparsi nel 2020 sono femminili. Perché si concentrano tra alloggio, commercio ristorazione e tempo libero, ambiti ad alta occupazione rosa (Ref Ricerche). Una nota positiva: lo smart working (+82% nel 2020) ha limitato (o escluso) il ricorso alla Cig nelle aziende che hanno potuto utilizzarlo.
Gli effetti a lungo termine
Anche sbagli e lentezze hanno un valore nel grande bilancio della pandemia. Confcommercio calcola che la settimana in più in «rosso» della Lombardia, dovuta a errori statistici, sia costata 200 milioni di giro d’affari in meno per Milano e 600 per la Regione. Poi ci sono i danni che si vedranno tra qualche tempo, con la fine delle moratorie. Banca d’Italia mette in guardia da un rischio di crescita dei fallimenti: 2.800 in più entro il 2022, a cui se ne potrebbero aggiungere 3.700 stoppati nel 2020 dagli aiuti pubblici. Tra le più vulnerabili ci sono le imprese molto piccole, di cui l’Italia è piena: quelle in crisi nera sono 292 mila (indagine Istat). Tolto il divieto di licenziare, il bilancio dei posti di lavoro sacrificati potrebbe aggirarsi su cifre ben più alte: tra 1,2 e 1,4 milioni (stime Ey su dati Ocse). E ancora il crollo del Pil, che è il parametro di rivalutazione delle pensioni calcolate con il metodo contributivo, peserà sugli assegni dei futuri pensionati: 99 euro al mese per chi oggi ha 50 anni (stime Progetica). Mentre i ragazzi della didattica a distanza rischiano che eventuali deficit formativi si trasformino in un handicap reddituale. Secondo una stima della Fondazione Agnelli parliamo di 21 mila euro a testa di reddito in meno per 8,4 milioni di studenti nell’arco dei futuri 40 anni di vita lavorativa.
Che cosa ha fatto lo Stato
Il governo ha potuto accollarsi più spese, grazie alla sospensione dei vincoli di bilancio Ue. Il debito pubblico è salito di 160 miliardi e vale il 157% del Pil, un anno fa era al 134%. La spesa pubblica nel 2020 è stata pari a 870,74 miliardi, il livello più elevato degli ultimi dodici anni. Nell’audizione davanti alle Camere del 20 gennaio il Mef ha riepilogato i sostegni a famiglie e imprese nel 2020: 108 miliardi di euro a cui aggiungere 150 miliardi di prestiti garantiti e 300 miliardi di crediti sospesi. Cifre su cui riflettere: in tempi «normali» una manovra finanziaria mette sul tavolo 30 miliardi.
Ogni mese di eventuale slittamento della campagna vaccinale (…) vale 4,7 miliardi di mancato recupero dei consumi
Quando il debito aiuta
All’orizzonte, ora, ci sono i 209 miliardi del Next Generation Ue. In gran parte, 127 miliardi, si tratta di altri debiti. Che però potrebbero raddrizzarci, essendo subordinati a progetti di crescita: dalla digitalizzazione alla transizione verde, dalla modernizzazione delle infrastrutture strategiche all’istruzione. Per sboccare questi soldi l’Europa impone anche le note riforme di cui l’Italia ha bisogno da decenni (giustizia, pubblica amministrazione, fisco), ma che non ha mai fatto. Al netto di una guerra efficace al virus. Ogni mese di eventuale slittamento della campagna vaccinale, calcola Confesercenti, vale 4,7 miliardi di mancato recupero dei consumi, fondamentali per rimettere in moto l’economia.