Giovani e smartphone: i social network non hanno inventato l’adolescenza ma ne hanno amplificato a dismisura il lato oscuro

Instagram non ha creato il malessere dei giovani: l’anoressia, il mito del testosterone e il culto dei soldi facili erano parte della cultura di molti adolescenti ben prima che i social network arrivassero nelle nostre vite. E lo stesso discorso vale per la violenza e i femminicidi.
Il massacro del Circeo, per citare un episodio fra i tantissimi, è del 1975 e non era evidentemente una challenge nata su TikTok. Del resto gli adolescenti americani descritti da Bret Easton Ellis nei suoi romanzi, ambientati negli anni Ottanta, non sembrano meno pericolosi di quelli che nella serie tv Adolescence ci hanno fatto scoprire che ci sono emoticon crudeli di cui non conosciamo il significato. E non avevano uno smartphone in mano.
Non si tratta insomma di «dare tutta la colpa ai social network» per il dilagare di depressione, ansia e istinti suicidi fra i giovani. Del resto farlo è solo un modo per assolvere la società — il resto del mondo — dalle responsabilità che evidentemente ha.In questa vicenda purtroppo non ci sono assoluzioni ma sicuramente le famiglie e gli insegnanti pagano ogni giorno la pena per gli errori commessi. La pagano in termini di sofferenza e smarrimento: è un prezzo enorme. La Silicon Valley no. La Silicon Valley su questo malessere ci ha costruito degli imperi finanziari. Le grandi aziende tecnologiche che controllano i social network hanno orientato una parte importante del loro modello di business sulla vulnerabilità dei ragazzi.
È stato dimostrato che gli algoritmi che decidono quali contenuti mostrarci in modo da massimizzare l’engagement impiegano meno di mezz’ora a capire cosa scegliere per tenere gli utenti inchiodati davanti allo schermo dello smartphone. Semplificando, la ricetta per i giovani è sempre quella: un corpo perfetto, magrissimo per le ragazze; i muscoli e i soldi per i ragazzi. Niente che non si sia già visto, ma quando dentro lo smartphone trascorri sei ore al giorno, le incertezze ti appaiono così grandi da paralizzarti; e i sogni possono diventare ossessioni. Passioni tristi, come le ha definite il filosofo Miguel Benasayag. Il record di suicidi fra i giovani è un dato che non si può minimizzare dicendo: è sempre stato così, anche al tempo di Socrate ci si lamentava della peggio gioventù, anche tra gli antichi egizi.
I social network insomma non hanno inventato l’adolescenza ma ne hanno sicuramente amplificato a dismisura il lato oscuro e lo hanno fatto soltanto per guadagnare di più. A distanza di quasi venti anni dall’arrivo di Facebook nelle nostre vite (era il 2006 quando fu aperto a tutti), di quindici da quello di Instagram e di nove da quello di TikTok possiamo affermare con ragionevole certezza come sono andate le cose, perché siamo arrivati a questo punto.Per una serie di scelte imprenditoriali precise che non avevano come obiettivo diretto fare dei danni ai giovani e ai giovanissimi; avevano come obiettivo il profitto a tutti i costi. Oggi sappiamo quando e perché gli adolescenti e addirittura i bambini sono stati considerati un mercato da conquistare senza remore, sappiamo quali strategie sono state adottate e sappiamo anche che le ricerche interne condotte da queste aziende avevano avvertito che c’era un problema, che qualcosa stava andando storto. Ma nessuno si è fermato. Prima il profitto, poi la filosofia. E adesso che fare?
Il 10 dicembre in Australia entra in vigore una legge controversa, approvata a larghissima maggioranza, che vieta l’uso dei social network per i minori di 16 anni. È la soluzione? Probabilmente no: sembra soltanto il sintomo del panico che abbiamo noi adulti alle prese con qualcosa che non conosciamo. Oggi levare lo smartphone (e i social) a un adolescente equivale a dichiarare guerra a una generazione. Dovremmo piuttosto non darlo ai bambini di nove e dieci anni, come accade ormai con una frequenza preoccupante e pretendere che la verifica dell’età degli utenti (13 anni minimo) sia vera ed efficace. E dovremmo pretendere — per legge — che gli algoritmi dei social network non sfruttino più le vulnerabilità dei ragazzi, che le loro bacheche siano neutre.
Tutto questo accade mentre l’intelligenza artificiale generativa si diffonde sempre di più, in particolare fra gli studenti. Si tratta di uno strumento potentissimo che non si limita a dare risposte e dialogare ma che è in grado di manipolare e condizionare. Stiamo passando dall’economia dell’attenzione all’economia dell’intenzione: vince non chi conquista il nostro tempo, ma chi orienta le nostre scelte. Dietro i principali modelli ci sono le stesse aziende che hanno guidato la deriva dei social. Come possiamo ancora fidarci di loro?

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