POLITICA
Fonte: La StampaVenti miliardi di buco arretrati per la Capitale, quasi uno nel 2013
Il vecchio debito di Roma? Si immagini che ci sono ancora da pagare gli espropri dei terreni per le Olimpiadi di Roma del 1960» raccontava solo pochi giorni fa il sindaco Marino. I mali della capitale, insomma, vengono da lontano. Ma se il passato è in qualche modo archiviato, se ne occupa un commissario di governo, Massimo Varazzani, è il presente a preoccupare: alle casse del Campidoglio manca quasi un miliardo di euro (su 5,5) per far quadrare il bilancio corrente. Ed è chiaro che farlo senza aumentare le tasse come si è cercato di fare sinora non è compito facile.
Bisogna tagliare, riorganizzare, risparmiare, risanare, scovare nuove voci per far cassa. Come quei 485 milioni prestati nel 2008 proprio a Varazzani e rimasti lì, congelati, praticamente dimenticati da tutti. Col Salva-Roma Marino puntava ad averli indietro, poi sappiamo come è andata.
Gigante dai piedi d’argilla
Situazione irrecuperabile? Il Comune di Roma è un «mostro» difficile da domare: 25 mila dipendenti alle dirette dipendenze e più di 31 mila nelle società «municipalizzate», 26 in tutto con almeno 50 controllate, tra cui spiccano tre veri big del settore, come Acea (energia e acqua). Ama (rifiuti) e Atac (trasporti). Ma mentre Acea un po’ di utili li produce, le altre due sono fonte di perdite continue (oltre che di scandali). Anche le 44 farmacie comunali sono in perdita, e fino ad oggi hanno cumulato più di 10 milioni di euro di debiti. «Ma le pare possibile perder soldi anche con le farmacie?»: il sindaco, che di professione è chirurgo e quindi un poco se ne intende, non sa darsi una spiegazione e per questo prima che scoppiasse la nuova bufera aveva pensato di riorganizzazione tutto il settore affidandolo ad un manager esperto in grado di raddrizzare il business.
Disavanzo strutturale
Secondo uno studio di Ernst&Young «Roma Capitale» ha un disavanzo strutturale pari a 1,2 miliardi all’anno. E la responsabilità, in primis, è delle società controllate. Solo l’Atac, ad esempio, ha un numero di dipendenti pari a quello dell’Alitalia e in un decennio ha accumulato perdite per 1,6 miliardi. Ed ogni anno costa al Comune 400 milioni, che nelle richieste dell’azienda dovevano salire addirittura a 500 quest’anno. «Cinque anni di gestione Alemanno – spiega Marco Causi, ex assessore al bilancio con Veltroni – hanno lasciato in eredità un deficit strutturale che viaggia tra gli 800 ed i 1200 milioni di euro. Sono lievitate tutte le spese correnti, per effetto di assunzioni e contratti di servizio». Poi ci si sono messi gli ultimi governi: Monti ha cancellato un trasferimento da 500 milioni l’anno in nome dei tagli (e Alemanno, si lamentano ora in Campidoglio, ha fatto l’ultimo bilancio, quello del novembre 2012, come se nulla fosse), poi con Letta è sparita l’Imu sulla prima casa e, ovviamente dei 700-800 milioni di gettito (su un totale di 1,52 miliardi) Roma ne ha ricevuto indietro solo una parte.
Debiti vecchi e nuovi
Di recente l’agenzia di ratings Fitch a sua volta ha certificato: «Dal 2008 a oggi il Comune di Roma ha generato nuovo debito». Per almeno un miliardo di euro: 137 milioni nel 2009, 122 nel 2010, 313 nel 2011, 255 nel 2012, 250 nel 2013. Senza contare altri 600 milioni dirottati a suo tempo sempre sul groppone della gestione commissariale. Il gioco, insomma, ricomincia da capo, nemmeno fosse un moto perpetuo. Il debito di Roma tra il 1999 ed il 2005 è salito da 5,7 a 6,9 miliardi di euro. Poi al momento dell’arrivo di Alemanno il caso esplode perché la situazione, in parallelo coi tagli dei trasferimenti statali e la crisi finanziaria della Regione Lazio, praticamente speculare, diventa insostenibile: si parla di 9 miliardi, poi di 10 quindi di 12,5 e per la prima volta il termine «rischio dissesto» non è più un tabù impronunciabile. Oltre all’eredità delle giunte di sinistra, compresi i maxi-mutui per le nuove metropolitane, l’ex primo cittadino deve contabilizzare i mancati trasferimenti da parte delle Regione e molti debiti fuori bilancio, Ici non riscossa e multe non pagate. Grazie all’appoggio del governo amico guidato da Berlusconi, caso unico in Italia, ottiene una legge per sanare tutto il pregresso: e calcolando anche gli interessi il totale arriva a quota 20 miliardi. Per smaltirlo ai romani è imposta una addizionale Irpef, molto pesante, dello 0,4% che si assomma ad una sovrattassa di un euro per ogni passeggero che si imbarca a Fiumicino.
I «buffi» olimpici di Roma 60
I primi «buffi», come li chiamano a Roma, sono però ormai vecchi di più di 50 anni. Ci sono le cause, ancora pendenti, per gli espropri del villaggio olimpico di Roma 60, e tutta una serie di altrui contenziosi aperti dai proprietari privati nei confronti del Comune che parte dal Piano regolatore degli anni ‘60, dagli espropri dei due decenni successivi, dalle sentenze dei tribunali e dalle nuove norme europee che hanno imposto indennizzi più elevati. In media questa è una voce che pesa per 40-50 milioni di euro all’anno, con punte anche di 100, «tutte puntualmente e dolorosamente coperti a bilancio» annotava in sua relazione Causi.
Ora questa montagna da 20 miliardi è scesa a 12, perchè Varazzani ha contrattato molte posizioni ma la partita è tutt’altro che finita. Anzi. C’è il rischio default che incombe, e sul cielo di Roma da settimane volano i falchi: il loro obiettivo è il gioiello del Comune, l’Acea di cui il Campidoglio controlla ancora il 51% e nel cui capitale sono presenti anche Caltagirone e i francesi di Suez. Ovviamente questi soci non vedono l’ora di poter prendere il controllo del gruppo, inevitabilmente a prezzi di saldo.