Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
L’impressione è che il nervosismo degli ultimi giorni sia un po’ diminuito; e che nell’esecutivo stia prevalendo la voglia di rivedere la squadra dei ministri
Non si può dire che il viaggio di Giuseppe Conte a Bruxelles avvenga sotto i migliori auspici. Oggi il premier italiano si presenta davanti agli interlocutori europei con dietro una maggioranza solo formalmente unanime nello sforzo di evitare la procedura di infrazione per debito eccessivo; e con un mandato politico appannato dalle bordate antieuropee della Lega di Matteo Salvini, folgorato sulla via di Washington e di Donald Trump. L’unico elemento positivo, è che la strettoia nella quale è incastrato il governo gialloverde non si chiuderà né oggi né domani. Ma i margini si assottigliano. Nell’udienza abituale al Quirinale che precede i vertici dell’Ue, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è stato chiaro con Conte e i ministri: va salvaguardato il dialogo con la Commissione Ue. E il premier ha fatto subito sapere che preparerà un documento per «dimostrare che sono le nostre previsioni e le nostre stime a avere il sopravvento su quelle fatte da altri». L’obiettivo è evidente: convincere la Commissione che i conti pubblici non sono disastrati come appaiono; e che lasciando all’Italia un po’ di tempo, le si permetterà di ricalibrare l’immagine di un Paese finanziariamente in bilico.
Orizzonte strettissimo
L’impressione è che il nervosismo degli ultimi giorni sia un po’ diminuito; e che nell’esecutivo stia prevalendo la voglia di rivedere la squadra dei ministri: stavolta non solo del M5S ma della stessa Lega. Se fosse così, significherebbe archiviare il rischio di elezioni ravvicinate. I segnali, tuttavia, continuano a essere contraddittori. Quando il grillino Alessandro Di Battista annuncia che si candiderà in caso di voto anticipato e non varrà il limite dei due mandati per il M5S, conferma la precarietà del governo. E quando viene indicata la metà di luglio come data ultima per scongiurare le elezioni, si ripropone un orizzonte strettissimo. Bisogna capire come e dove il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, troverà i soldi per finanziare la riduzione delle tasse pretesa da Salvini. Di colpo si evoca la disponibilità di fondi che si credevano indispensabili per alcune misure-simbolo come reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni. Ora emergono magicamente, rivelando il flop di quei provvedimenti. E vengono dirottati nel tentativo di offrire coperture finanziarie assenti, e evitare la procedura di infrazione. Lo sfondo è di confusione e insieme di concitazione. Si oscilla tra la voglia di dialogare con gli alleati europei per ottenere un commissario economico di peso; e la coazione a rilanciare contro Bruxelles avvertimenti coi quali si presume di evitare l’isolamento, rischiando di accentuarlo. Il fatto che l’Ue emersa dal voto europeo stia ridisegnando i propri equilibri e cercando un accordo sulle cariche di vertice fa prevedere tempi un po’ più lunghi. Ma sarebbe rischioso illudersi che basterà a rinviare la resa dei conti con l’anomalia italiana.